30.9.13

Aggiornamento al 30 settembre


L’équipe scientifica si è rimessa al lavoro e, approfittando di condizioni meteo molto favorevoli, ha deciso di effettuare una sosta di campionamento di 48 ore nello stretto di Lancaster (Lancaster Sound).


I prossimi scali previsti sono Arctic Bay (la città più fredda del mondo) e Pond Inlet nel Nunavut canadese il 4 e 6 ottobre prossimi.

Poi, sarà la volta di Ilulissat (Groenlandia), Québec, Saint Pierre e Miquelon; infine ritorno a Lorient agli inizi di dicembre.

29.9.13

Il passaggio di Nord-Ovest è ormai alle nostre spalle!


Copyright : B.Régnier/Tara Expéditions


Dalle 15 (ora locale) di sabato, Tara scivola di nuovo in acque libere dai ghiacci. Al mattino, quando le condizioni meteorologiche erano buone come da previsioni ricevute grazie a un anticiclone stabile,  siamo avanzati lungo la penisola di Brodeur in mezzo a un pack di ghiaccio poco fitto.

Due ore dopo, abbiamo ricevuto un messaggio via radio dalla guardia costiera canadese, Louis St. Laurent, che ci ha invitato a seguirlo. Un "pesce pilota" ci ha aiutato a passare la barriera di 60 miglia in mezza giornata, quando da soli ci avremmo messo forse più di un giorno e dovendo fare slalom nella notte  tra i floe* di ghiaccio giovane e vecchio.



In piedi sul ponte, alle cinque e mezzo del mattino, ho approfittato, insieme a Baptiste Régnier, il marinaio del turno di guardia, di una di quelle albe che ci ricordano quanto la natura e la vita su questa terra siano talvolta belle. Poco a poco, il cielo, dapprima blu, è diventato rosa, poi arancio e infine giallo dorato, tonalità che solo la tavolozza di un maestro potrebbe regalarci. Tara non stava ancora eseguendo le sue evoluzioni tra il pack, ma tra “pancake di ghiaccio”**; e anche il ghiaccio si è lentamente tinto degli stessi colori.

Daniel Cron, capo meccanico dal leggendario e contagioso buon umore, Céline Dimier-Hugueney, biologa, Lars Stemmann, responsabile scientifico in questo tratto della missione, ed io eravamo come bambini meravigliati da tanta bellezza. Lars mi ha confessato commosso che non vedeva niente di simile da diciotto anni, quando partecipò a una missione nello Spitzberg a bordo di Antarctica, il primo e precedente nome di Tara.

È stato in quel momento, mentre galleggiavamo sospesi tra magia e meraviglia, che la guardia costiera canadese, Louis Saint Laurent, ci ha contattato via radio. Uno scambio breve e formale in inglese nel quale abbiamo appreso che il rompighiaccio aveva ricevuto l’ordine di scortarci. E così Tara si è messa a seguire il gigante dallo scafo rosso con un fiore d’acero impresso sul fumaiolo bianco. 

A una distanza di sicurezza di ottocento metri procediamo dietro il nostro esploratore. Per 50 miglia con a dritta la penisola di Brodeur e le sue montagne innevate, siamo avanzati nel canale di acqua libera dietro alla Guardia Costiera. Miglia dopo miglia, ci siamo resi conto che stavamo attraversando senza alcuna difficoltà il Passaggio di Nord-Ovest sotto la guida di quel pescione che ci ha fatto da pilota e protettore. Senza il suo aiuto, avremmo impiegato un bel po’ di energia, di fatica e forse anche qualcosa di più, per aprirci un varco tra quei banchi di ghiaccio poco spessi che però costituivano quantomeno una linea bianca all'orizzonte.

Come il nostro esploratore si è congedato per continuare la sua missione di protezione di quell’area per il traffico marittimo, eravamo già passati ad altro. Nel tardo pomeriggio, infatti, l’équipe di scienziati a bordo si è riunita nel quadrato per preparare una lunga sosta da effettuare nei prossimi due giorni nel Lancaster Sound.

Tara ora si sposta con lo yankee spiegato e un solo motore; nessuna barriera di ghiaccio di grandi dimensioni dovrebbe presentarsi di fronte al tagliamare.

Il passaggio di Nord-Est e quello di Nord-Ovest sono stati superati nel tempo a disposizione per questa spedizione attorno all’Artico, e ora possiamo scartare qualsiasi ipotesi di passare l’inverno qui o di far ritorno sui nostri passi.


Vincent Hilaire


* floe: lastra di ghiaccio galleggiante
** pancake di ghiaccio: piccole lastre di ghiaccio di appena pochi metri di diametro la cui forma ricorda una ciambella

28.9.13

Il punto critico


Entrata nello stretto di Bellot. Copyright: B.Régnier/Tara Expéditions



Alle ore 6 del mattino (ora locale) di questo venerdì, Tara e il suo equipaggio hanno incontrato condizioni meteorologiche molto favorevoli nello stretto di Bellot (Canada). Questo braccio di mare naturale che si estende per 35 chilometri circa, e che collega lo stretto di Franklin con il canale del Principe Reggente, era sgombro dai ghiacci, privo di ostacoli, condizione che non si ripeterà nella navigazione di domani. In poco più di quattro ore abbiamo attraversato lo stretto senza difficoltà, e abbiamo visto sugli argini due orsi bianchi solitari che stavano in guardia.



Aspettavamo questo momento da una settimana circa e oggi, dalle cinque del mattino, che fossimo di turno o meno, eravamo tutti e quindici svegli, e impazienti.

L’entrata del Bellot presentava su ogni lato falesie di rocce striate e cosparse di una neve ben attaccata alle pareti. “Lo stesso posto dove poco più di un secolo prima, nel 1903, è passato Amundsen” mi ha fatto notare Lars Stemmann, il nostro responsabile scientifico. E poi ha aggiunto “Qui siamo nella punta più settentrionale del continente americano”.

Fin dalle prime miglia percorse in questo mini braccio di mare assaporiamo tutta la magia di questo luogo sotto un sole timido, ma illuminato da una luce che solo i poli sanno regalare. Loïc Vallette, il nostro capitano trentaquattrenne, ha assaporato il momento senza perdere il controllo sulle correnti che in base alle istruzioni nautiche ricevute erano favorevoli in quel momento.

Per commemorare quell'attimo di grazia e di purezza i marinai hanno issato le vele su un manto d’acqua appena increspato dal vento. Come un uccello che spiega le ali bianche, Tara, che appariva come un veliero tradizionale, ha iniziato a sbandare un po’ grazie ai motori dando una parvenza di vento.

Sul gommone messo in acqua qualche minuto prima, ammiriamo e immortaliamo questa scena con il fotografo Francis Latreille e la complicità di Martin Herteau, capitano in seconda incaricato di aiutarci in questo compito. “Non s’imbocca mica tutti i giorni lo stretto di Bellot”, dice commosso quanto noi di essere là in quel momento, in quelle condizioni. Pescatori di bellezza, che fortuna!

Lo stretto di Bellot sulla scia, dopo uno spuntino ristoratore inghiottito rapidamente, Lars Stemmann e il suo equipaggio di sei scienziati hanno deciso, dopo averne discusso con Loïc Vallette, di effettuare una sosta breve prima di addentrarsi nel canale del Principe Reggente che è ghiacciato più a nord.

La rosetta è ritornata in acqua per un’immersione a cento metri seguita da due reti per il plancton.

Facciamo dunque rotta a Nord-Est nel canale del Principe Reggente per raggiungere il fianco ovest della penisola di Bordeur. In base alle ultime mappe dei ghiacci ricevute, dovrebbe esserci un corridoio di acqua libera potenziale che costeggia la penisola qui per poi sfociare nel Lancaster Sound. Le condizioni meteo sono sempre stabili e quindi l’avventura è possibile, ma Tara, che non è un rompighiaccio, riuscirà a farsi strada tra i ghiacci che in alcuni punti coprono i 9/10 della superficie dell’acqua? È il secondo momento di verità della spedizione Tara Oceans Polar Circle. Passerà o non passerà il passaggio di Nord-Ovest? Loïc Vallette procede di nuovo a tutta birra per tentare il colpo, come sempre con un ottimismo realista. Il dado è tratto…


Vincent Hilaire

26.9.13

La traversata del Nunavut


Loic Vallette, capitano di Tara, in timoneria, impegnato a portare
l'equipaggio verso lo stretto di Bellot nel minor tempo possibile.
©V.Hilaire/Tara Expéditions




Continua la nostra corsa verso lo stretto di Bellot. Quanto al ghiaccio, la situazione è piuttosto stabile e ci incoraggia a portare avanti la nostra scelta di arrivare al più presto a questo punto strategico del Passaggio di Nord-Ovest, prima di costeggiare il fianco occidentale della penisola di Brodeur.



Si succedono i giorni e le notti di navigazione a motore senza soste per il campionamento del plancton. Gli scienziati hanno deciso di continuare il loro lavoro nel laboratorio secco interno, dove arriva acqua pompata continuamente dallo scafo di Tara. Così si completa l'operazione di raccolta di tutti i dati biologici, fisico-chimici, oceanografici e di imaging che vengono registrati dagli strumenti a bordo.

Stamattina Loïc Vallette, il capitano, ci ha aggiornato sulla situazione meteo dei prossimi giorni. Le notizie sono buone e, rispetto ai giorni scorsi, lasciano più spazio alla speranza. Le temperature permangono molto clementi al momento, e ciò rallenta la formazione di nuovo ghiaccio giovane. D’altra parte, non avremo raffiche di vento nei prossimi giorni, piuttosto godremo di una certa calma grazie all’anticiclone che si è installato nella zona; il che significa che l’angusto corridoio lungo la penisola di Brodeur dovrebbe regalarci una navigazione senza onde in mezzo ai ghiacci, facilitando il controllo radar.

Al momento tutto ciò è pura teoria; nell’Artico i cambiamenti possono essere molto rapidi e talvolta violenti. Prudenza dunque e soprattutto pazienza, una delle più importanti virtù richieste dall’Artico in ogni viaggio tra le sue regioni isolate e selvagge. 

Ieri notte, durante il turno di guardia, abbiamo incrociato un'altra imbarcazione che navigava in senso inverso verso "Tuk". Un’occasione buona per intrattenere uno scambio cordiale, colorato dall’accento canadese, con il marinaio che faceva il turno di guardia su quella nave cargo che trasporta approvvigionamenti ai vari villaggi canadesi sparsi lungo il Passaggio di Nord-Ovest. Dopo alcune utili informazioni sullo stato dei ghiacci, la conversazione si è conclusa con un “fate attenzione pure voi”.

Dopo i territori del Nord-Ovest, siamo entrati in un’altra regione candese: il Nunavit, che in Inuktitut - la lingua degli Inuit parlata qui oltre al francese, all’inglese e al “franglish” - vuol dire “terra nostra”. La popolazione di questa regione la cui capitale è Iqaluit era di 31 556 abitanti nel 2009; ovvero 0,02 abitanti per chilometro quadrato. 

Attraversiamo dunque un immenso deserto, e i paesaggi di tundra che si intravedono di tanto in tanto confermano che non c’è molta gente nei dintorni.


Vincent Hilaire


24.9.13

L’espresso per Bellot

Tara pronta a lasciare il golfo di Amundsen, naviga a motore, a otto nodi,
 diretta verso lo stretto di Bellot. ©V.Hilaire/Tara Expéditions





Dopo la partenza da Tuktoyaktuk (Canada), lasciamo il Golfo di Amundsen e Tara procede a motore, alla velocità di otto nodi, diretta verso lo stretto di Bellot, punto strategico del Passaggio di Nord-Ovest. Il lavoro scientifico della spedizione Tara Oceans Polar Circle non si ferma; lo scafo della goletta è pieno di sensori che registrano di continuo una serie di dati fisico-chimici, climatici, oceanografici e biologici.



Di questo passo, se non incontriamo ghiaccio, Tara dovrebbe raggiungere lo stretto di Bellot venerdì prossimo, in serata. Da quando abbiamo lasciato “Tuk” è una corsa contro il tempo quella che in cui ci siamo trovati per evitare la potenziale chiusura di questo braccio di mare naturale. È la nostra unica possibilità di raggiungere il Lancaster Sound, poi il mare di Baffin e infine la Groenlandia.

A bordo, in assenza di soste in mare dove effettuare campionamenti, ognuno si prepara a modo suo alla battaglia, effettuando riparazioni, mantenendosi in esercizio; in poche parole, si prepara a ogni evenienza. Non possiamo perdere le prossime poche occasioni che ci rimangono per compiere la nostra missione scientifica: aggiungere questa parte occidentale del Mare Glaciale Artico all’inventario delle specie planctoniche realizzato durante Tara Oceans.

Le ultime mappe del ghiaccio confermano l’abbondanza di floe*, quest’anno molto maggiore rispetto allo scorso anno. Si tratta di un ghiaccio giovane, di una quindicina di centimetri di spessore, che coprirebbe già i 9/10 della superficie dell’acqua. Le temperature, altro fattore aggravante nella zona dello stretto di Bellot, sono già negative e quindi il ghiaccio è necessariamente più denso perché l’acqua di mare ghiaccia a partire da -1.8 ° C.

Difficile dire cosa succederà da qui a cinque giorni; i quindici a bordo credono fermamente nella buona riuscita, ma è la natura che decide. La suspense a bordo è ben tollerata, dal momento che ognuno è consapevole dei limiti della nostra capacità di cambiare il corso delle cose. A ogni modo, nessuno può dire quale sarà la nostra prossima tappa: Arctic Bay o fare ritorno a Tuktoyaktuk o un altro luogo ancora? È il passaggio a deciderlo e la nostra rotta è nelle sue mani.

Stasera avremo definitivamente lasciato il golfo di Amundsen. Dopo un sole generoso all’indomani della nostra partenza, ora navighiamo avvolti da una nebbia che si taglia con un coltello, sotto la neve. Il mare è bellissimo adesso e davanti a noi si apre il golfo dell’ Incoronazione. Forse l’occasione buona per poter ammirare il mitico Passaggio di Nord-Ovest visto che stasera passeremo a quattro miglia della costa sud.



Vincent Hilaire



* Floe: lastra di ghiaccio galleggiante

21.9.13

L’ora della verità per il Passaggio di Nord-Ovest



Alba del giorno di partenza da Tuktoyaktuk. V.Hilaire/Tara Expéditions



Dopo aver lasciato l’incantevole villaggio di “Tuk” (Tuktoyaktuk in Canada) e la sua amichevole gente, in gran parte inuit, la mattina ci porta bruscamente alla realtà della scommessa che rappresenta Tara Oceans Polar Circle. Le nuove mappe del ghiaccio ricevute sabato non sono molto buone. Questa mattina Loïc Vallette e Lars Stemmann, rispettivamente il capitano e il responsabile scientifico di questo nuovo tratto della spedizione che ci porterà da Tuk ad Arctic Bay (Canada), accusano un po’ il colpo sui loro volti. Ma, come sempre a bordo di Tara, dove ne abbiamo passate delle belle, l'ottimismo è sempre vivo. 


Con un bel sole al mattino e quasi 5°C, il sabato è cominciato bene. Erano tutti riposati e chi era stato di guardia la notte “affiorava” dolcemente. Il risveglio è stato più duro per coloro che ancora accusavano un po’ di jet lag dopo il volo di quaranta ore per arrivare a “Tuk”. 

La sera, dopo aver levato le ancore, Tara si è diretta a nord e poi a est ed è ormai quasi alle porte del golfo di Amundsen, all’entrata del mitico Passaggio di Nord-Ovest che l’esploratore e uomo d’avventura norvegese ha per primo attraversato per mare, tra il 1903 e il 1906. Tara e il suo equipaggio, invece, hanno solo sette mesi per completare il giro intero dell’Artico. 

È anche un momento chiave, poiché entriamo nel secondo passaggio della circumnavigazione dell’Artico, una scommessa che si fa sempre più complessa, poiché quest'anno la fusione del ghiaccio non batterà nuovi record, ormai è certo. 

Ma chi non risica non rosica… Gli appassionati dell’Artico hanno imparato in ciascuna delle loro avventure questa lezione di umiltà, talvolta a loro spese. 

In breve, ora siamo sul “wait and see”, aspetta e vedi, che è l’approccio caratteristico di ogni spedizione polare e non sappiamo che cosa ci attende tra due o tre giorni. Ciò che è chiaro ed è stato appena detto da Loïc al briefing di questa mattina, è che “dobbiamo andare più veloce che possiamo verso lo stretto di Bellot senza effettuare soste scientifiche per ora”; è la nostra unica possibilità di raggiungere la Groenlandia . “C’è sempre la possibilità di fare marcia indietro”, ha poi aggiunto Lars. 

Questo stretto naturale è un luogo molto curioso. Offre un passaggio a 71° 59'N, tra la penisola di Boothia e l’isola di Sommerset, nell’arcipelago artico canadese, che forma gran parte del Passaggio di Nord-Ovest. Si estende in lunghezza per circa 35 km, e nella parte occidentale ha una larghezza di appena uno o due chilometri. Le sponde dello Stretto, che prende il nome della nave francese del tenente Joseph-René Bellot, sono ripide e si elevano fino a 450 metri a nord e 750 metri a sud. 

Bellot Strait, in inglese, è un grande canale naturale, ma c'è un problema. Quest'anno, a differenza dello scorso anno, è già in parte coperto di ghiaccio con lastre di ghiaccio nuovo e correnti a otto nodi a seconda delle maree. Ad oggi rappresenta l’unico canale per uscire dal labirinto del Nord-Ovest. Inoltre, da metà settembre, la tendenza è il ritorno del freddo. 

Dopo Capo Čeljuskin in Russia, lo stretto di Bellot è il secondo passaggio a livello della spedizione. 



Vincent Hilaire

20.9.13

Benvenuti a Tuktoyaktuk!


Un abitante di Tuktoyaktuk. Foto: F.Aurat/Tara Expéditions




Da mercoledì sera Tara è ancorata davanti a Tuktoyaktuk, villaggio inuit situato nei Territori del Nord-Ovest del Canada. Il Canada è il secondo paese più grande del mondo per superficie; il nome deriva dal termine urone “kanata” che significa villaggio. Gli 870 abitanti di questo tranquillo centro, in questo angolo alla fine del mondo, sono tutti gentilissimi. L’entrata in territorio inuit è ricca di promesse.


L'arrivo di notte a “Tuk”, come la chiamano qui, è stato un momento ricco di poesia e ha entusiasmato l'intero equipaggio. Non solo perché dopo dieci giorni in mare ogni scalo è benvenuto, ma anche perché alcuni genitori a bordo erano desiderosi di vedere i propri figli.

A poco a poco, il villaggio di case di legno si è delineato davanti a noi nella notte già inoltrata. Non so se era psicologico o reale, ma sentivamo profumi di cucina molto gradevoli che non uscivano dalla nostra. Anche il colore della luce emessa dai lampioni al sodio era molto bello e per niente aggressivo. A riva, qualche conchiglia e delle barche di metallo per la pesca. Un’impressione generale di dolcezza e calma era palpabile.

Il giorno è iniziato con la stessa sensazione. In mezzo a case variopinte, gli abitanti del villaggio, che camminavano o passavano al volante dei loro “pick-up”, erano disponibili, sorridenti, gentili. Ci facevano spesso un cenno amichevole con la mano se non avevano il tempo di fermarsi.

Che si trattasse di formalità da sbrigare per l’ingresso sul suolo canadese, della spesa al supermercato per i rifornimenti a bordo o di semplici scambi di vita quotidiana, qui tutto è stato semplice. La maggior parte degli Inuit che abbiamo incontrato erano tutti molto curiosi e incuriositi da Tara. Gli 800 residenti sono in gran parte di etnia inuit e i pochi canadesi del posto lavorano nella gendarmeria reale, in qualche attività commerciale o nell’insegnamento.

Tuktoyaktuk, che in inuit significa “luogo del caribù”, è un’oasi di pace di cui approfittiamo godendoci la temperatura di 4°C di questa fine estate.

L'unico modo per arrivare a Tuk in questa stagione è in aereo o in barca, come a Pevek, sua vicina russa sull’altro lato dello Stretto di Bering e del mare di Chukchi. A Tuk, prima conosciuta come “Porto Brabant”, ci si può arrivare in macchina soltanto in inverno quando il fiume Mackenzie è gelato. Ed è in aereo che è arrivato il cambio di marinai e scienziati. A seconda della provenienza, alcuni di loro sono arrivati dopo due giorni di volo.

Lasceremo Tuk venerdì sera. Ci attende il Passaggio di Nord-Ovest con il suo labirinto di canali e una grande incognita: la porta d'uscita di questo secondo passaggio della spedizione verso il mare di Baffin e la Groenlandia rimarrà aperta abbastanza a lungo da lasciarci passare?
I ghiacci ci lasciano poco tempo e spazio; non dobbiamo farci sfuggire questa occasione.



Vincent Hilaire

17.9.13

Nuovo incontro con il signore dell’Artico

Il signore dell'Artico. ©V.Hilaire/Tara Expéditions



Oggi, nel corso di una sosta per prelievi tra i ghiacci, tra Pevek (Russia) e Tutkoyaktuk (Canada), l’abbiamo incrociato di nuovo. Un orso bianco solitario ci ha raggiunto su una lastra della banchisa vicina al luogo della nostra sosta di campionamento diurna, nel Mare di Beaufort, al 71° Nord.


La rosetta era appena stata messa in acqua per un’immersione a mille metri. Improvvisamente, François Aurat, uno dei marinai a bordo appassionato di fotografia, dopo aver controllato più volte con un binocolo, ha esclamato: "un orso viene verso di noi, a nuoto!".

Chi non era occupato con l’immersione della rosetta ha potuto ammirare l’avanzamento in acqua del più grande predatore terrestre del nostro pianeta. Noto per la sua velocità di spostamento sul ghiaccio, l'orso è anche un ottimo nuotatore, come hanno potuto vedere in prima persona molti di noi.

«Sta nuotando da molte miglia…», ha fatto presente il nostro capitano in seconda, Martin Herteau, forte della sua esperienza artica acquisita nel corso di molte stagioni a Spitzberg (Norvegia). «L’orso può spostarsi in acqua  in questo modo talvolta anche per due cento miglia», ha poi aggiunto Martin.

Viste le difficoltà affrontate da questo maschio solitario  per uscire dall’acqua gelata, sembrava proprio che l’animale avesse nuotato a lungo. Facendo un ultimo sforzo intenso, l’orso ha nuotato trascinandosi dietro le sue centinaia di chili e la sua pelliccia sgorgante d’acqua nel Mare di  Beaufort. Una lastra di ghiaccio gli si è offerta come un rifugio a quanto pare salutare, tanto pareva stremato. Una volta rimessosi sulle sue quattro zampe, e lanciando di tanto in tanto un’occhiata a Tara, si è dato una scrollatina veloce per poi avventurarsi in quel nuovo dominio, a un tempo oasi di pace e nuovo terreno di caccia potenziale - in effetti, una foca si aggirava non lontano da noi, sopra alcune lastre di ghiaccio.

Alla fine, la fatica ha preso il sopravvento e, dopo aver annusato un paio di volte ancora nella nostra direzione e aver sbadigliato più volte, si è allungato sul ventre e infine si è adagiato sul dorso con le zampe in aria.

Difficile in quei momenti vedere nel mammifero qualcosa di diverso da un tenero cucciolo nella sua bella pelliccia di un bianco giallognolo. Tuttavia, non va dimenticato che, come il leone delle savane africane, l’orso è il predatore per eccellenza dell’Artico.

Poi, quasi al riparo dai nostri sguardi, si è assopito, continuando a controllare solo di tanto in tanto la nostra posizione. Vista la magrezza di quel giovane maschio, tutto fa pensare che era a digiuno da giorni.

Non vedevo un orso bianco  dalla scorsa spedizione a cui ho partecipato, Tara Arctic  (2007-2008). A due giorni di mare dal nostro arrivo a Tuktoyaktuk (Canada), il Mare di Beaufort ci ha fatto un regalo unico, proprio poco prima di entrare in acque canadesi.


Vincent Hilaire

16.9.13

Planet Ocean in italiano


Planet Ocean su RAI 5
Lunedì 9 Settembre (prima parte) e lunedì 16 Settembre (seconda parte) alle 21.15


Diretto da Yann Arthus-Bertrand, il film-documentario “Planet Ocean” è stato proiettato per la prima volta all’Earth Summit 2012 di Rio de Janeiro.


Un’odissea, un grande viaggio realizzato con immagini aeree e subacquee inedite, girate in tutto il pianeta.

L’origine della vita, l’evoluzione delle specie, le migrazioni, la predazione, lo spettacolo dei coralli e i misteri degli abissi. Planet Ocean vi svelerà prima i segreti dell’oceano. Poi sarà la volta della comparsa dell’uomo che s’impadronisce del Pianeta Oceano. Inventa la pesca, conquista i mari, scopre il petrolio e globalizza il mondo. E niente sarà mai più come prima.

Tara Expéditions ha messo a disposizione del film la sua équipe di esperti scienziati e tutte le conoscenze accumulate nel corso delle sue spedizioni.

Premio miglior cinematografia 2012 al Festival Blue Ocean di Monterey (USA).


Visibile in replay per sette giorni


13.9.13

Calma piatta nel Mare di Beaufort

Meduse raccolte a 80 metri di profondità. F.Aurat/Tara Expeditions


Tara e i 15 membri dell’equipaggio della spedizione Tara Oceans Polar Circle sono da poco entrati nel Mare di Beaufort, un mare liscio come l’olio, increspato solo da qualche lieve onda lunga. Abbiamo dunque lasciato le acque internazionali per entrare nella zona economica esclusiva marittima americana.


Quando Emmanuel Boss, responsabile scientifico in questa missione nel tratto tra Pevek (Russia) e Tuktoyaktuk (Canada) ha fatto la sua comparsa sul quadrato della goletta con un sorriso sulle labbra, ancora più raggiante del solito, siamo venuti a sapere della buona notizia che aveva ricevuto per e-mail. «Possiamo pescare nelle acque americane, perché la nostra attività non genera alcun beneficio economico!». Da qualche giorno, Emmanuel attendeva impaziente una risposta da Washington per sapere se potevamo campionare in questa zona situata tra le 12 e le 200 miglia nautiche* delle coste dell’Alaska.

Tara prosegue verso est. Dopo la sosta lunga di ieri tra i ghiacci, la quarta del genere dopo l’inizio della spedizione, i sei membri dell’équipe scientifica hanno lavorato in mezzo ai ghiacci e sotto lo sguardo lontano di qualche tricheco lascivo. Approfittando per buona parte della giornata di un generoso sole che sbrinava a poco a poco il ponte, hanno esplorato, per l’ultima volta in questa spedizione, le acque del mare di Ciukci. Due profondità di campionamento erano in programma, la zona in superficie e la zona dei 40 metri, la DCM, il tutto sul limitare della banchisa.
I primi campionamenti rivelano una vita planctonica ricca, con molte alghe. Delle diatomee molto lunghe e fini risalgono in gran quantità i collettori, insieme a quelle creature del vivente a cui così bene si addice il nome che portano, gli Angeli di mare. Angeli che planano con grazia sul cielo liquido del Mare Glaciale Artico.

Il nostro prossimo obiettivo è sondare le acque del Mare di Beaufort e - perché no - anche quelle di Barrow Canvon, al largo della celebre Punta Barrow. Gli strati profondi di questo piccolo mare di 450.000 km quadrati ricevono acqua dall’Atlantico settentrionale e interessano quindi in particolar modo i nostri scienziati a terra. Questa nuova sosta di un giorno dovrebbe aver luogo tra 48 ore.

Con l’entrata nel Mare di Beaufort, ci avviciniamo un po’ di più al Passaggio di Nord-Ovest giacché il mare si affaccia verso est sul golfo dell’Amundsen, porta di entrata a ovest di questo labirinto.


Vincent Hilaire


* Da 22 a 370 chilometri circa
** DCM (Deep Chlorophyll Maximum): profondità alla quale il tasso di clorofilla è al massimo.


10.9.13

«Date line» al largo di Wrangel


A sud dell'isola di Wrangel, passando per il 180° meridiano, 
Tara recupera 23h! F.Aurat/Tara Expéditions





La spedizione Tara Oceans Polar Circle ha superato con successo la famosa «date line», come la chiamano i nostri amici anglofoni, la linea immaginaria, convenzionale e indispensabile che ci consente di vivere su questo pianeta con la stessa unità di misura del tempo, ovunque ci si trovi. Tutti sappiamo che le giornate durano ventiquattro ore, ma quando un giorno si passa questa linea, il giorno prima si ripete. Magia! 

Dunque, oggi è anche ieri e ieri dicevamo che domani sarà oggi! Potremmo definirlo l’inizio di uno sketch del rimpianto Raymond Devos. Fino ad oggi sapevo dell’esistenza della «parola valore doppio» nello Scrabble, ma non di quella del giorno valore doppio… 

Lunedì a mezzanotte in punto, ora di Tara, abbiamo cambiato di fuso orario. Quando eravamo nel TU* +12, dieci ore avanti l’ora di Parigi, siamo passati a TU -11, undici ore dopo l’ora di Parigi. Questo miracolo, questa linea che risale il tempo, l’abbiamo superata in un istante. Quando il GPS è arrivato a 180° Est, all’improvviso ha ripreso a ri-calcolare i minuti nell’altro senso, 179°59’ Ovest… 179°58’ Ovest… 

In un attimo, eravamo a ovest e iniziava di nuovo il lunedì. Molti avranno sognato di passare a ovest in questo modo, ma forse non di rivivere un lunedì… 

Così Phileas Fogg, il celebre eroe di Jules Verne, riusciva a chiudere il suo famoso Giro del mondo in 80 giorni, ripassando sopra questa linea del giorno e sfruttando questa preziosa unità che segnò il suo successo, la riuscita di quella folle impresa. 

Questo miracolo temporale, frutto del genio degli uomini, si è svolto a qualche miglia appena dall’isola di Wrangel** che separa il mare della Siberia orientale e il mare di Ciukci. Immerso in una fitta nebbia, non abbiamo mai visto questo gioiello della biodiversità, dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 2004. L’isola di Wrangel è il posto dove sono sopravvissuti gli ultimi mammut coperti di lana e che vanta il più alto livello di biodiversità dell’alto Artico. Vi si radunano anche centinaia di migliaia di trichechi del Pacifico. 

Siamo a soli 600 chilometri dall'oceano più grande di tutti e quindi a pochi chilometri dallo Stretto di Bering. All’epoca dell'ultima glaciazione, circa 20.000 anni fa, i primi esseri umani venuti dall’Asia passarono di qui, da est a ovest, ma a piedi, quando il livello del mare era sufficientemente basso. Ed è proprio in questa zona che sta navigando Tara oggi. 

Domenica scorsa, la nuova équipe scientifica ha campionato per l'ultima volta le acque russe, ma non sappiamo quando e dove sarà la prossima sosta di questa fase della spedizione che si concluderà a Tuktoyaktuk, in Canada. 

Il ghiaccio è molto presente in questa fine estate in questa regione dell’Artico, e non dobbiamo perdere di vista il Passaggio di Nord-Ovest, altrimenti rischiamo di rimanere bloccati nella sua trappola bianca. 


Vincent Hilaire 


· *TU: Tempo Universale 
· **Libro su Wrangel: Ada Blackjack, di Jennifer Niven, editore Paulsen.


7.9.13

Partenza da Pevek, con due invitati a sorpresa


Caricando a bordo i sacchi dei due nostri nuovi avventurosi membri dell'equipaggio. V.Hilaire/Tara Expédition



Come previsto, sabato mattina, sbrigate le formalità amministrative necessarie per abbandonare il territorio russo, abbiamo lasciato il porto di Pevek. L’équipe scientifica è stata in buona parte rinnovata, mentre la maggior parte dei marinai a bordo sono gli stessi del cambio di turno precedente. Anziché essere tredici, però, a bordo abbiamo due rinforzi imprevisti, Sébastien Roubinet e Vincent Berthet, due amanti dell’avventura partiti a bordo del loro catamarano in grado di scivolare sul ghiaccio per attraversare il Mare Glaciale Artico che hanno dovuto rinunciare alla loro incredibile sfida.

Partiti due mesi fa da Barrow, in Alaska, nel tentativo di raggiungere le isole Spitzberg in Norvegia a bordo di Babouchka, una piccola imbarcazione di 6 metri, hanno dovuto rinunciare alla loro avventura a causa di un vento e una deriva di fronte quasi costanti e un ritorno del gelo in anticipo per la stagione. Pochi giorni fa l’Admiral Makarov, una delle più potenti navi rompighiaccio russe non nucleari, li aveva raccolti a circa 800 miglia da Pevek, in pieno pack. Non avendo previsto lo scalo forzato a Čukotka (Russia) erano sprovvisti di autorizzazione per poter entrare in territorio russo e così Tara darà loro rifugio.

Ancora una volta la partenza è stata commovente. Il tempo era clemente, con un sole generoso in cielo e delle temperatura miti. Lentamente Tara ha lasciato il porto di Pevek mentre le grandi gru multicolori erano intente a scaricare una nave da carico russa. Loïc Vallette, il capitano, non ha nascosto la gioia di ripartire e ha fatto risuonare il corno da nebbia più volte per salutare chi era rimasto sul molo.

Tara è ora diretta verso il corridoio marittimo di 200 miglia di lunghezza e 40 di larghezza, tragitto obbligatorio per uscire dalle acque russe. Una prima sosta dovrebbe aver luogo domenica nel primo pomeriggio, se gli oceanografi a terra confermano al nostro responsabile scientifico a bordo, Emmanuel Boss, che si tratta di acque del Pacifico appartenenti a Béring, perché le acque russe sono già state campionate proprio poco prima di arrivare a Pevek.


Vincent Hilaire



6.9.13

Ritrovarsi alla fine del mondo

Tara in attesa di ripartire verso l’Alaska.
Anna Deniaud/Tara Expéditions



In mezzo a un paesaggio ondulato e innevato spiccano alcuni edifici colorati e una fabbrica che sputa fumo grigio e pare aver inondato il cielo. Siamo a Pevek. Sul molo, ci attendono volti familiari e sorridenti. Il cambio di equipaggio! Sono le otto del mattino, il sole cerca di fuoriuscire dalla cappa di nuvole che sfiora le gru del porto, e lascia cadere alcuni fiocchi di neve. Sembra di stare dentro alla palla di vetro di un souvenir: la neve ricopre tutta la città, poi all’improvviso smette. I due equipaggi, quello a bordo e quello sul molo si scambiano i saluti gesticolando, siamo tutti impazienti per questo ritrovo alla fine del mondo.


Dopo una settimana di attesa all’imboccatura dello stretto di Vilkitsky, temevano di non riuscire ad arrivare a Pevek. La vista di queste colline rosseggianti, degli edifici del periodo sovietico e del ritratto di Lenin su una facciata del porto mi rassicura. Una prima vittoria: la rotta marittima del nord-est è quasi al termine. Adesso non pensiamo alla prossima tappa che avrà luogo in territorio canadese, dove affronteremo il Passaggio del Nord-Ovest. Godiamoci il momento presente, un insegnamento dell’Artico.

L’ultimo scalo in territorio russo sarà breve, solo due giorni. Quarant’otto ore per controllare che tutto sia a posto: i protocolli, le avarie, i consigli, i suggerimenti. Ritroviamo l’energia per trasferire le nostre conoscenze al nuovo equipaggio che deve ripartire nelle migliori condizioni possibili. Sappiamo che ciò li attende non sarà facile. Samuel Audrain, il precedente capitano a bordo, mi aveva detto un giorno davanti a un imprevisto: «Non è una crociera nel Mediterraneo quella che stiamo facendo, ma un tour dell’Artico!». Aveva proprio ragione, lo sapeva bene lui, dopo la precedente esperienza in questa regione polare. E oggi anche noi, ma solo un pochino di più.

Domani Tara riprende il suo viaggio verso l’Alaska. Come feci in passato, alle isole Galapagos, verrò a vedere la silhouette della goletta sparire all’orizzonte. Augurerò ai miei compagni il più bello dei viaggi. Vincent Hilaire si occuperà di raccontarvi con parole e immagini questa nuova fase della spedizione Tara Oceans Polar Circle.


Anna Deniaud Garcia

3.9.13

Presto a Pevek

Tara nel mare della Siberia orientale. Anna Deniaud/Tara Expéditions


Giovedì mattina dovremmo arrivare a Pevek, ultimo scalo russo di Tara Oceans Polar Circle e, per la metà dell’equipaggio, la fine dell’avventura artica. In vista del cambio di equipaggio, c’è chi ne approfitta per godersi gli ultimi momenti nel mare della Siberia orientale e continuare la raccolta di campioni di microorganismi.



Negli ultimi giorni, grazie al vento favorevole, la goletta ha effettuato la terza e ultima lunga sosta del tratto Dudinka-Pevek. Gli scienziati hanno raccolto un’acqua di colore verde marrone ricca di sedimenti a una ventina di metri di profondità nei pressi della piattaforma continentale. Qui siamo sotto l’influsso di numerose masse d’acqua dolce procedenti dai grandi fiumi della Siberia orientale. 

Pascal Hingamp, ricercatore del laboratorio IGS e responsabile scientifico di questa tappa spiega entusiasta: "Ho insistito molto per effettuare questa sosta, anche se le operazioni di campionamento in acque così ricche di sedimenti sono problematiche perché è un buon terreno di caccia di virus giganti , il cui studio è la specialità del mio laboratorio. I virus giganti sono stati scoperti nel 2004 e hanno le dimensioni dei batteri. Sono impaziente di vedere i risultati del sequenziamento e di verificare la bontà delle mie previsioni".

Soste scientifiche a parte, la vita a bordo scorre al ritmo dei pranzi, dei lavori di pulizia e dei turni di notte. Da qualche giorno la notte è di nuovo buia nell’Artico, per la felicità di chi dorme, un po’ meno di chi è al lavoro. Siamo sempre vigili. Talvolta all’orizzonte appare qualche lastrone di ghiaccio, le ultime vestigia di un mondo di ghiaccio ancora saldamente radicato nella nostra memoria. 

Foto, sensazioni, ricordi: ecco cosa ci rimane di questa nostra avventura artica. 
"Non dimenticherò mai il nostro incontro con l’orsa e i suoi piccoli. Erano le cinque del mattino ed ero di guardia con Yohann. Lui vide le tre teste sopra un lastrone di ghiaccio, non lontano da Tara. Un momento semplicemente magico", ricorda Simon Morisset. Per Céline Blanchard, la cuoca, il risveglio ai piedi della falesia con gli uccelli di Tikhaya rimarrà per sempre impresso nella sua memoria: " È stato grandioso. È un fatto davvero eccezionale poter vedere migliaia di uccelli in un luogo ancora inviolato". "Dal punto di vista scientifico, il mio ricordo più bello è stata la prima sosta ai margini del ghiaccio. L’acqua era a meno zero gradi ma brulicava di vita. C’era un’enorme quantità di fitoplancton, un vero e proprio bloom planctonico" ricorda Thomas Leeuw, responsabile della produzione di immagini. Per Sergei Pisarev, è stato il ritorno all’antica base scientifica di Nagurskaya, più di vent’anni dopo, a lasciare il segno: "Per quanto possa sembrare nostalgico, mi sono commosso quando ho rivisto la base, il mio materiale e ho scoperto che la pulizia della zona è a buon punto”.

L’Artico ci ha accolto, capriccioso e sublime. Ci ha mostrato i suoi gioielli e le nostre debolezze. Bisognava essere pazienti, coabitare in quello spazio chiuso senza sapere quando sarà stato possibile sbarcare di nuovo. Ognuno di noi ha rivelato la sua vera personalità, i legami di amicizia si sono rinsaldati. "Per me, è stato soprattutto un mese che ho condiviso con Margaux in cabina. Un incontro stupendo”, si confida Diana Ruiz Pino.

Sbarcheremo a Pevek con una settimana di ritardo. Qui, in questo angolo del mondo più a est del Giappone, ci attende il nostro cambio, impaziente di vivere, come noi, un’avventura indimenticabile.


Anna Deniaud Garcia