31.12.13

Buon 2014!

Passaggio di Nord-Ovest, agosto 2013
Spedizione Tara Oceans Polar Circle
copyright: Francis Latreille





Tara vi augura Buone feste e vi dà appuntamento al 2014 nel Mediterraneo.

13.12.13

TARA 10 ANS, 20 REGARDS D’ARTISTES


Mostra visitabile dal 16 dicembre 2013 al 10 gennaio 2014, da lunedì a sabato, dalle 10 alle 19 presso agnès b. 17 rue Dieu, 75010 Parigi


 TARA 10 ANS, 20 REGARDS D’ARTISTES



Artisti.
Ariane Michel. Pierre Huyghe. Xavier Veilhan. Sebastião Salgado. Loulou Picasso. Laurent Ballesta. Francis Latreille. François Bernard. Ellie Ga. Vincent Hilaire. Rémi Hamoir. Benjamin Flao. Julien Girardot. Guillaume Bounaud. Aurore de la Morinerie. Mara Haseltine. Giuseppe Zevola. François Aurat. Christian Sardet. Mattias Ormestad. Cedric Guigand. Alex Dolan. Ho Rui An.



Alcune delle opere esposte




©Sebastião Salgado/Amazonas images 
Isola Deception - Isole Shetland Australi, Antartide 2005



Loulou Picasso
Viaggio in Georgia del Sud,Oceano Atlantico meridionale 2005



Christian Sardet
Fotografare l'invisibile 2009-2012

11.12.13

Tara in cantiere

Rientrata a Lorient dopo più di sei mesi di viaggio intorno all'Artico in condizioni spesso difficili, l'imbarcazione deve essere interamente ispezionata e preparata per le prossime spedizioni.


Tara in cantiere. Julien Girardot/Tara Expéditions


Durante tutta la settimana in corso è previsto lo smontaggio delle installazioni scientifiche allestite per il viaggio appena terminato e lo sbarco dei campioni raccolti. L'imbarcazione si svuota poco a poco. Le vele sono già state rimosse e inviate alla veleria per la revisione.
Nel mese di gennaio l'imbarcazione verrà tirata fuori dall'acqua per una verifica completa da parte della nostra società di classifica: il Bureau Veritas francese.
Questa visita di controllo approfondita ha luogo ogni cinque anni, e riguarda tutta l'imbarcazione, dal fondo dello scafo ai motori passando per l'impianto elettrico e il materiale di sicurezza. Anche le derive verranno smontate per rimettere a nuovo il sistema di calettamento laterale.
A margine di tale controllo ne approfitteremo per rimettere in sesto l'opera viva usurata dal ghiaccio nei mesi passati nell'Artico. Infine i motori saranno sottoposti alla manutenzione periodica delle 10.000h, al controllo delle testate, delle ventole, dei refrigeranti e così via.

È il prezzo che si paga affinché ognuna delle nostre spedizioni si svolga senza problemi tecnici.
Una cura costante e una manutenzione preventiva sono la chiave del successo delle spedizioni in ambienti ostili e isolati.


Loïc Vallette, capitano di Tara

10.12.13

Tara rientra a Lorient, evitato il peggio

di Dino Di Meo, 6 dicembre 2013, alle 19,08.


Sabato 7 dicembre Tara è rientrata a Lorient carica di campioni scientifici. La goletta, che ha navigato attorno al Polo Nord per più di sei mesi, ha rischiato di rimanere intrappolata tra i ghiacci.


Tara nell'arcipelago di Francesco Giuseppe (Foto: A.Deniaud. TaraExpeditions)

Partita il 19 maggio 2013 da Lorient, comune francese del dipartimento del Morbihan, la goletta scientifica Tara ha fatto ritorno sabato in serata al suo porto di origine dopo un periplo di sei mesi e mezzo. Dodici giorni dopo aver lasciato Saint Pierre e Miquelon, ultima tappa prima di “attaccare” l’Atlantico settentrionale, i dodici componenti dell’equipaggio hanno finalmente avvistato le coste di Finistère venerdì al sorgere del sole. Dopo un ultimo prelevamento di campioni di plancton previsto nel Mer d’Iroise, Tara ha subito puntato verso sud e il passaggio marittimo del Raz de Sein per sfrecciare su un mare finalmente calmo verso l’isola di Groix, e infine a Lorient.

A bordo, la routine è quella tipica della fine di un tratto di spedizione. Il capitano Martin Hertau ha assegnato a ognuno un compito molto preciso. Pulizie di primavera in autunno: l’imbarcazione viene messa sottosopra, pulita a fondo fino a farla brillare e infine rimessa in ordine. Fuori, i pantaloni e gli abiti usati per i turni di guardia si seccano al sole dopo essere stati lavati. Sembra che a bordo sia stato fatto un gigantesco bucato. L'île de Sein appare magnifica nella luce del mattino. Le macchine fotografiche vengono finalmente tirate fuori per immortalare l’oceano. La terra è là, ci tende il braccio. Ancora una notte a bordo e poi si concluderà un periplo che a qualcuno deve essere sembrato interminabile. Il buon umore sotto il sole ha ridato a tutti la voglia di darsi da fare. Domani a Groix, quando salirà a bordo Agnes b, armatore di Tara con il figlio Etienne Bourgois, tutto sarà a posto, pronto per la parata prevista a Lorient. Il sindaco ha fatto coincidere l’arrivo dell’imbarcazione con l’inaugurazione dell’illuminazione natalizia. Il materiale che verrà imbarcato a Groix un’ora prima promette di essere pittoresco. L’entrata nel porto turistico e l’approdo alle 18.30 al pontile d’onore della goletta di 36 metri sono stati calcolati al minuto. Gli scienziati e i marinai che si sono dati il turno in questa circumnavigazione saranno sul pontile ad accogliere quest’ultimo gruppo con la soddisfazione di essere riusciti nella missione "Tara Oceans Polar Circle".

Diversamente dalla precedente spedizione "Tara Oceans", questa volta è la goletta a portare tutti i campioni raccolti attorno al polo. Anche se i grandi prelevamenti sono terminati dopo la tappa a Québec di metà novembre, i sofisticati strumenti messi a disposizione da Marc Picheral del CNRS di Villefranche sur Mer, nelle Alpi Marittime francesi, e monitorati dall’ingegnere oceanografico Fabien Pèrault, imbarcatosi per la traversata atlantica di ritorno, hanno continuato a registrare i dati dell’acqua prelevata, contando e fotografando ogni organismo planctonico che passa nel flusso d’acqua pompato all’interno del FlowCam. Durante tutta la traversata dell’Atlantico settentrionale, ognuno si è turnato per verificare a ogni ora il buon funzionamento dei congelatori e dei vari frigoriferi di stoccaggio. Era in gioco la sopravvivenza di 5000 campioni prelevati durante questo tour del Polo Nord. Tara ha traversato l’Atlantico settentrionale con tutto il suo tesoro scientifico nella stiva anteriore. «In caso di problemi, non esitate a svuotare il congelatore del cibo per sostituirne il contenuto con i campioni», esorta Daniel Cron, capo meccanico che si trova a bordo da tre mesi. «Abbiamo tutto quello che è stato raccolto da Tromsø, in Norvegia, fino alla Groenlandia».


MOTORI A PIENO REGIME

Se sul versante scientifico tutto si è svolto senza problemi, non si può certo dire che i 25 mila chilometri percorsi attorno alla banchisa siano stati una passeggiata. Biologi e oceanografi volevano fare le loro ricerche sul limitare della banchisa, là dove l’attività planctonica è più importante ma, per farlo, è stato necessario giostrarsi tra il programma e una fusione della banchisa meno forte rispetto all’anno scorso. Percorrere il Passaggio di Nord-Est e poi quello di Nord-Ovest dunque è stata una vera e propria corsa contro il tempo.

La prima prova è consistita nel doppiare lo stretto situato a nord della Russia. Nicolas de la Brosse, uno degli ufficiali di coperta, ricorda quei momenti di inizio estate. «Il programma era molto fitto e bisognava fare presto», racconta. «Il primo tentativo è fallito perché c’era molta foschia. Inutile arrampicarsi sull’albero per vedere la rotta da intraprendere. Eravamo bloccati dal ghiaccio spessissimo. È stato necessario liberarsi velocemente per ritornare al più presto nelle acque libere. Abbiamo passato quasi una settimana ormeggiati». Il rompighiaccio Yamal si trovava a un miglio (1,8 km), ma faceva orecchie da mercante. «Non ci hanno mai risposto e si sono persino allontanati da noi», prosegue de la Brosse. «A bordo era dura. Avevamo due soluzioni: o rientrare a Lorient e abbandonare la spedizione o fare almeno un tentativo. Gli scienziati non riuscivano a decidersi sul da farsi. Poi è arrivata una mappa dei ghiacci via satellite più ottimista. Si è dovuto motivare di nuovo tutto l’equipaggio. Alla fine siamo passati, ma il passaggio si è chiuso dietro di noi».

L’altro passaggio situato sulla costa canadese rischiava di essere altrettanto delicato da superare. «Otto giorni dopo il passaggio di Nord-Ovest abbiamo visto che la nuova banchisa cominciava a riformarsi», spiega il capitano Martin Hertau. «Abbiamo dovuto sospendere tutte le stazioni per una settimana. Navigavamo con il vento contrario avvolti dalla foschia. Non si vedeva niente». Frattanto Romain Troublé, presidente di Tara expéditions, aveva avvertito le autorità canadesi che Tara avrebbe proseguito comunque. «Il rompighiaccio Louis Saint Laurent si trovava nei paraggi. Ci ha chiamato in VHF [NdR: la banda di frequenze radio ultra alte] per dirci che sarebbe venuto a scortarci. Abbiamo percorso 50 miglia [90 km circa] in sette ore». La situazione avrebbe potuto complicarsi immediatamente dopo lo scalo ad Artic Bay quando è stato necessario far sbarcare Jean-Claude Gascard, uno degli scienziati della spedizione. Baptiste Régnier, l’ufficiale in Seconda, conferma: «Il ghiaccio si riformava rapidamente, ma non essendo ancora molto spesso, ci siamo potuti aprire un varco azionando i motori a pieno regime, raggiungendo così le acque libere per fare poi rotta verso la Groenlandia».


RESTI DI BANCHISA

Qualche settimana più tardi, l’arrivo a Ilulissat, in Groenlandia, è stato davvero spettacolare. È là che il ghiacciaio Sermeq Kujalleq si riversa in mare a un ritmo di 40 metri al giorno. Daniel Cron, capo meccanico, racconta l’arrivo di notte: «A qualche miglia dal porto, eravamo in mezzo a dei resti di banchisa, molto densi, di dimensioni gigantesche, a volte fino a 50 metri di altezza. Abbiamo dovuto avanzare un po’ a zig- zig per avvicinarci perché c’era del ghiaccio dietro la diga».

La traversata fino a Quèbec non è stata affatto riposante, ma piuttosto movimentata, specialmente per via di un’onda più grossa delle altre che è andata a infrangersi sull’imbarcazione trasversalmente. Tutto è crollato. Dall’enorme microscopio al piccolo frigo del quadrato. Più paura che male anche se l’entrata nel golfo del San Lorenzo e l’arrivo a Saint Pierre e Miquelon non sono stati assolutamente facili. L’imbarcazione ha subito ripreso la sua rotta verso Lorient con una traversata atlantica che si è rivelata assai clemente per quest’epoca dell’anno. Tutto sommato, niente di nuovo per gli habitué. Gli altri invece hanno dovuto imparare in fretta a mangiare con una sola mano tenendo fermo il bicchiere con l’altra per evitare che si rovesci. Finalmente, nel giro di ventiquattr’ore, mettiamo di nuovo piede sulla terraferma.

Tara può ora rivelare i suoi segreti e andare a rimettersi in sesto prima della prossima campagna nel Mediterraneo in primavera.



Articolo di Dino Di Meo pubblicato su Liberation
Traduzione: Paola Buoso



7.12.13

L'arrivo a Lorient

Tara sta tornando a Lorient. L'arrivo è previsto per le 17:30, al molo Rohan.
Appuntamento alle 20.00 allo spazio Courbet  per trascorrere insieme a tutto l'equipaggio una piacevole serata in compagnia.

Tara rientra a Lorient

L'arrivo a Lorient. Copyright: Caroline Tattevin


Oggi, sabato 7 dicembre 2013 Tara è tornata al porto di Lorient sugellando la fine della spedizione Tara Oceans Polar Circle: un tour di 25.000 chilometri intorno all’Artico in circa 200 giorni, con un tesoro di 5000 campioni di plancton.
L’attracco al molo è avvenuto alle 18h30 in un clima festivo con il porto illuminato per l’occasione. Ad accogliere Tara più di un migliaio di abitanti del posto, il sindaco di Lorient Norbert Métairie, agnès b, Etienne Bourgois e tutto l’equipaggio.
Un ritorno che domani alle 14h30 verrà celebrato al Salone Nautico alla presenza di tutti i protagonisti della spedizione.

5.12.13

Oceani e carbonio




Il sole si fa breccia nel cielo sopra di noi durante la traversata atlantica di ritorno.
Copyright: Y.Chavance/Tara Expéditions



Mentre il nostro tour dell’Artico volge ormai al termine, e Tara torna a Lorient con i congelatori pieni dei migliaia di campioni di plancton raccolti, una domanda risuona costantemente nella mente dei giornalisti e del grande pubblico venuto a visitarci durante gli scali: che ne è del cambiamento climatico? Sebbene il clima non sia il nostro immediato oggetto di studio, noi però studiamo gli organismi che si trovano nel cuore della macchina climatica. Per fare chiarezza sul tema è necessario innanzitutto analizzare i legami esistenti tra oceani e carbonio.

Si sa, il riscaldamento globale sperimentato dalla Terra da un secolo a questa parte è in gran parte dovuto al rilascio di carbonio nell'atmosfera. Ma ancora dobbiamo dire di quale carbonio stiamo parlando. Il carbonio è in realtà un atomo, il cui simbolo è C, che può essere presente in diverse molecole aventi ciascuna proprietà molto diverse. Nella forma di biossido di carbonio o anidride carbonica (CO2, ovvero un atomo di carbonio legato a due atomi di ossigeno), per esempio, si tratta di un gas serra potente che intrappola i raggi infrarossi nell'atmosfera, facendo salire il termometro. È la stessa anidride carbonica che esce dai nostri polmoni ogni volta che espiriamo, come avviene in tutti gli animali del pianeta. Respirando, il nostro corpo trasforma l'ossigeno (che in realtà è ossigeno biatomico o molecola di ossigeno indicato con il simbolo O2) in CO2. Allo stesso tempo, sul nostro pianeta, molti organismi fanno esattamente il contrario: grazie all'acqua e alla luce, la fotosintesi permette di produrre ossigeno consumando CO2. È il caso delle piante sulla terraferma, ma anche del fitoplancton presente negli oceani, per non parlare dei molti batteri fotosintetici. Ma in questo scambio chimico, l'atomo di carbonio non scompare, esso è incorporato in molte molecole di glucosio, che forniscono energia all’organismo. Il plancton, essendo alla base della catena alimentare, e gli atomi di carbonio emessi durante la fotosintesi si ritroveranno gradualmente in tutti gli organismi circostanti. È importante capire che la Terra è in qualche maniera un circuito chiuso o, per dirla con le parole di Lavoisier, un luogo dove “Nulla si perde, nulla si crea, tutto si trasforma”, e dunque poco importa quale sia la quantità di carbonio presente sul pianeta, la questione è invece sapere sotto quale forma, e dove, esso si trovi. Un equilibrio delicato scombussolato dalle attività umane: il carbonio immagazzinato per milioni di anni sotto forma di energie fossili quali il petrolio viene eliminato in pochi decenni dagli strati profondi della Terra per essere rilasciato nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica. Lo stesso discorso vale per i problemi connessi alla deforestazione, dove il carbonio presente negli alberi viene rilasciato nell'aria, quando questi vengono tagliati e bruciati. Ed è per questo che i famosi “pozzi di carbonio” ora si stanno esaurendo.


Gli oceani al centro del clima

Se definire la foresta amazzonica il “polmone verde” del pianeta è normale, gli scienziati si stanno rendendo conto solo ora che anche gli oceani svolgono un ruolo altrettanto importante in tal senso e funzionano come serbatoi di carbonio e fornitori di ossigeno. Si parla allora di pompa di carbonio. In primo luogo, va detto che, da un punto di vista puramente meccanico, l'anidride carbonica si dissolve naturalmente negli oceani. Il fitoplancton, si è visto, trasforma la CO2 in O2 attraverso la fotosintesi. Inoltre, molti organismi planctonici sono anch’essi in grado di trasformare la CO2, non sotto forma di glucosio, ma di carbonati (o più semplicemente gesso). Alcuni protisti, quei piccoli organismi unicellulari che popolano gli oceani, producono un guscio calcareo che si depositerà sul fondo dei mari dopo la morte dell’organismo. Lo stesso vale per tutti gli organismi marini, veri e propri pozzi di carbonio in miniatura, le carcasse e i rifiuti che si depositano sul fondo dell'oceano per formare a lungo andare sedimenti dove si concentra il carbonio lontano dall'atmosfera. Anche i coralli, essendo a loro volta produttori di secrezioni di carbonio, sono delle riserve di carbonio. Così, gli oceani e i loro abitanti, non contenti di assorbire la maggior parte del calore dovuto al riscaldamento globale e di fornire ossigeno all’atmosfera, avrebbero già assorbito un terzo delle emissioni di CO2 legate alle attività umane, sotto forma di carbonio disciolto o minerale.


Un equilibrio delicato

Un giorno però questo gigantesco pozzo di carbonio potrebbe anche rivoltarsi contro di noi se l'equilibrio di questo sistema dovesse rompersi. Ed è proprio ciò che molti scienziati temono. Il riscaldamento climatico sta iniziando a mostrare i limiti della pompa di carbonio degli oceani: in effetti temperature più elevate diminuiscono la dissoluzione di CO2 in acqua, e la capacità di stoccaggio degli oceani (che è ben lungi dall'essere infinita e potrebbe arrivare alla saturazione) potrebbe a sua volta venire notevolmente ridotta. Peggio ancora, il pozzo si convertirebbe in fonte di carbonio, diventando una vera e propria bomba a orologeria. Un'altra conseguenza dell’innalzamento delle temperature è il fatto che alcune specie planctoniche stanno già cominciando a migrare per raggiungere zone più fredde, contribuendo in tal modo alla rottura di un delicato equilibrio che dura da milioni di anni. E da ultimo, l'ultima inquietante scoperta: l'acidificazione degli oceani. A causa della maggiore concentrazione di anidride carbonica, gli oceani stanno diventando sempre più acidi, e ciò ha un impatto ancora poco chiaro su plancton e coralli, ma sicuramente danneggia il corretto sviluppo di un gran numero di specie, con il rischio sempre presente di sconvolgere il delicato equilibrio della pompa di carbonio degli oceani. Per studiare tali effetti e, perché no, per trovare delle soluzioni, dobbiamo prima di tutto capire i meccanismi della pompa di carbonio: quali organismi sono coinvolti, in che misura vi partecipano, quali possono essere le conseguenze di un aumento delle temperature, dell’acidità o della concentrazione di CO2, e così via. È possibile che alcune delle risposte si trovino oggi proprio nei congelatori a bordo di Tara…


Yann Chavance






3.12.13

Cronaca di un turno

Il timone a ruota di Tara. F.Aurat/Tara Expéditions


Sono quasi le quattro di mattina. Mentre dormo profondamente, cullato dai movimenti di Tara, sento una mano darmi un colpetto sulla spalla: è Jérôme che ha terminato il suo turno e viene a svegliare il suo cambio. Ed eccomi con fatica in piedi, pronto per due ore di veglia.



Adesso sono le quattro. Il rollio che fino a qualche minuto fa mi cullava ora tenta di mettermi a terra. Tenendomi alle pareti del corridoio, lotto per raggiungere la timoneria (il posto di comando). Trovo Baptiste, anche lui svegliatosi da poco. Le parole che escono dopo una notte così breve sono poche e contenute. Mi astengo dal lamentarmi del risveglio malriuscito: alle sei il mio turno sarà già terminato. Baptiste invece, come tutti i marinai, dovrà rimanere di guardia per quattro ore.

Sono già passati dieci minuti. Getto un colpo d’occhio assonnato fuori dall’oblò e mi ritrovo immerso in un altro universo: la notte è nera, così nera che il mare e il cielo sono una sola cosa. Tara sembra immersa in uno spazio fuori dal tempo, senza dimensione, fluttuando nell’oscurità. In timoneria, dove ci troviamo adesso, lo schermo del mio computer emana una luce scialba in mezzo a un esercito di pulsanti, radar, schermi e altre leve illuminati da una luce debole rossa o verde.

Sono le quattro e trenta, e Tara dorme ancora. Il formicaio che la popola di giorno si è dileguato, sostituito solo da qualche tintinnio sul ponte e dal ritmo di una cima sbattuta dal vento. L’atmosfera tranquilla è propizia alla scrittura. Qualche email alla famiglia e agli amici nel tentativo di condividere un po’ di questa nostra quotidianità a un tempo fuori dal comune e routinaria.

Alle cinque, mentre all’orizzonte si profila in maniera indistinta una falce di luna, Baptiste parte per fare il suo giro. Mentre lui passa al setaccio le viscere dell'imbarcazione verificando che motori e macchine funzionino normalmente, io resto solo in plancia. E mentre la luna comincia la sua ascensione, rischiarando timidamente la cima delle onde, tengo d’occhio il radar e l’orizzonte. Niente. Siamo soli nel bel mezzo dell’oceano.

Le cinque e un quarto, e Baptiste è di ritorno. Ci scambiamo i ruoli, ora tocca a me fare il giro passando con una luce frontale. Niente sala macchine per me, ma un laboratorio che non dorme mai, con la sua gran quantità di schermi che proiettano continuamente curve e statistiche di tutti i tipi. Sotto la luce tremolante della mia lampada, seguo passo a passo il protocollo che dettaglia gli elementi da verificare. Non c’è nulla da segnalare. Il pulsante si accende bene sul verde, la curva appare corretta, le linee di calcolo appaiono sullo schermo con regolarità. Tutto è normale. Risalgo in plancia.

Un’ultima mezz'oretta da uccidere. Niente all’orizzonte. Tara scivola sulle onde, le vele gonfie dal vento. La conversazione con il mio compagno di turno si avvia. Lo sappiamo bene entrambi, è un momento favorevole per parlare, per condividere le nostre esperienze, i nostri precedenti imbarchi o la nostra “altra vita” a terra. Il momento del turno di guardia e la sua atmosfera così particolare hanno dato spazio a corsi di musica, introduzioni alle lingue straniere o ancora discussioni appassionate su come rifare il mondo. Questa volta veniamo interrotti da Nadège che viene a sollevarmi dai miei obblighi.

Alle sei finisce il mio turno. Le prime luci dell’alba eclissano la traiettoria della luna, preludio di un sorgere del sole che si annuncia favoloso. Potrei restare una decina di minuti in più per assistere all’apparire dei primi raggi di sole che illuminano l’oceano, posandosi sulle onde che infrangono la prua di Tara, ma resisto alla chiamata di Nettuno per arrendermi all’abbraccio di Morfeo. Qualche ora di sonno ancora prima che Tara si svegli del tutto. Ci attende una giornata che sarà lunga, come la notte che seguirà, con le sue due ore di veglia condivise con un altro marinaio: un altro turno da raccontare.


Yann Chavance