Il timone a ruota di Tara. F.Aurat/Tara Expéditions |
Sono quasi le quattro di mattina. Mentre dormo profondamente, cullato dai movimenti di Tara, sento una mano darmi un colpetto sulla spalla: è Jérôme che ha terminato il suo turno e viene a svegliare il suo cambio. Ed eccomi con fatica in piedi, pronto per due ore di veglia.
Adesso sono le quattro. Il rollio che fino a qualche minuto fa mi cullava ora tenta di mettermi a terra. Tenendomi alle pareti del corridoio, lotto per raggiungere la timoneria (il posto di comando). Trovo Baptiste, anche lui svegliatosi da poco. Le parole che escono dopo una notte così breve sono poche e contenute. Mi astengo dal lamentarmi del risveglio malriuscito: alle sei il mio turno sarà già terminato. Baptiste invece, come tutti i marinai, dovrà rimanere di guardia per quattro ore.
Sono già passati dieci minuti. Getto un colpo d’occhio assonnato fuori dall’oblò e mi ritrovo immerso in un altro universo: la notte è nera, così nera che il mare e il cielo sono una sola cosa. Tara sembra immersa in uno spazio fuori dal tempo, senza dimensione, fluttuando nell’oscurità. In timoneria, dove ci troviamo adesso, lo schermo del mio computer emana una luce scialba in mezzo a un esercito di pulsanti, radar, schermi e altre leve illuminati da una luce debole rossa o verde.
Sono le quattro e trenta, e Tara dorme ancora. Il formicaio che la popola di giorno si è dileguato, sostituito solo da qualche tintinnio sul ponte e dal ritmo di una cima sbattuta dal vento. L’atmosfera tranquilla è propizia alla scrittura. Qualche email alla famiglia e agli amici nel tentativo di condividere un po’ di questa nostra quotidianità a un tempo fuori dal comune e routinaria.
Alle cinque, mentre all’orizzonte si profila in maniera indistinta una falce di luna, Baptiste parte per fare il suo giro. Mentre lui passa al setaccio le viscere dell'imbarcazione verificando che motori e macchine funzionino normalmente, io resto solo in plancia. E mentre la luna comincia la sua ascensione, rischiarando timidamente la cima delle onde, tengo d’occhio il radar e l’orizzonte. Niente. Siamo soli nel bel mezzo dell’oceano.
Le cinque e un quarto, e Baptiste è di ritorno. Ci scambiamo i ruoli, ora tocca a me fare il giro passando con una luce frontale. Niente sala macchine per me, ma un laboratorio che non dorme mai, con la sua gran quantità di schermi che proiettano continuamente curve e statistiche di tutti i tipi. Sotto la luce tremolante della mia lampada, seguo passo a passo il protocollo che dettaglia gli elementi da verificare. Non c’è nulla da segnalare. Il pulsante si accende bene sul verde, la curva appare corretta, le linee di calcolo appaiono sullo schermo con regolarità. Tutto è normale. Risalgo in plancia.
Un’ultima mezz'oretta da uccidere. Niente all’orizzonte. Tara scivola sulle onde, le vele gonfie dal vento. La conversazione con il mio compagno di turno si avvia. Lo sappiamo bene entrambi, è un momento favorevole per parlare, per condividere le nostre esperienze, i nostri precedenti imbarchi o la nostra “altra vita” a terra. Il momento del turno di guardia e la sua atmosfera così particolare hanno dato spazio a corsi di musica, introduzioni alle lingue straniere o ancora discussioni appassionate su come rifare il mondo. Questa volta veniamo interrotti da Nadège che viene a sollevarmi dai miei obblighi.
Alle sei finisce il mio turno. Le prime luci dell’alba eclissano la traiettoria della luna, preludio di un sorgere del sole che si annuncia favoloso. Potrei restare una decina di minuti in più per assistere all’apparire dei primi raggi di sole che illuminano l’oceano, posandosi sulle onde che infrangono la prua di Tara, ma resisto alla chiamata di Nettuno per arrendermi all’abbraccio di Morfeo. Qualche ora di sonno ancora prima che Tara si svegli del tutto. Ci attende una giornata che sarà lunga, come la notte che seguirà, con le sue due ore di veglia condivise con un altro marinaio: un altro turno da raccontare.
Yann Chavance