5.7.13

«Adesso si inizia a fare sul serio, nel Grande Nord»

Prima intervista con Etienne Bourgois, presidente di Tara Expéditions, dopo l’inizio della spedizione Tara Oceans Polar Circle.





Etienne Bourgois ©F.Latreille/Tara Expeditions





- Certamente non è ancora il momento di fare bilanci, ma come è andato il primo mese e mezzo di spedizione?

L’intero equipaggio è entusiasta di questa prima parte della spedizione. L’esperienza di Tara Oceans 2009-2012 è sicuramente servita e tutto si è rimesso in moto come previsto. Il materiale scientifico funziona bene così come gli strumenti di prelievo di campioni a funzionamento automatico e continuo, grazie al lavoro dell’ingegnere del CNRS Marc Picheral.

La scelta delle soste dove effettuare i campionamenti tra Tara e i laboratori a terra (finora in totale le soste sono state nove) è stata realizzata in maniera ottimale in quanto le condizioni metereologiche erano favorevoli. Il tempo era tranquillo nelle ultime settimane. Siamo anche riusciti a realizzare una sosta importante, nel cuore del bloom* planctonico.

Ma è adesso che si inizia a fare sul serio, nel Grande Nord.



- Quali sono i vostri timori per i prossimi mesi ?


Il planning è serrato. Dopo esserci stato varie volte, so che nell’Artico bisogna essere pronti a tutto. E tutto dipende dalle condizioni meteorologiche, dalla situazione dei ghiacci. Ciò che conta per me sopra ogni cosa è la sicurezza degli uomini e delle donne a bordo di Tara, e la sicurezza della barca. C’è gente esperta a bordo. Lo scienziato russo Sergey Pisarev che ha partecipato alla spedizione precedente di Tara nell’Artico e che ha apportato tutto il suo know-how. L’attuale capitano Samuel Audrain che ha passato 9 mesi a bordo di Tara quando l’imbarcazione è rimasta stretta tra i ghiacci nel 2007 e 2008. Samuel è un buon marinaio che ha partecipato ad altre spedizioni polari. È molto motivante per l’equipaggio averlo come capitano sapendo che ha occupato tutti i ruoli a bordo di Tara prima di prenderne il comando.



- Com’è la situazione dei ghiacci nell’Artico in questo momento ?


È appassionante seguire in diretta sul sito l’evoluzione del ghiaccio in ogni momento, giorno dopo giorno. Anche se quello che indicano le mappe non corrisponde sempre a quello che c’è nella realtà, sul campo, e non è sempre evidente come calibrare la situazione tra ciò che c’è in situ e le mappe che si ricevono a bordo…

Durante lo scalo a Murmansk (Russia) la settimana scorsa, si sono registrate temperature record di 30°C; ma in quel momento, la fusione della banchisa artica registrava un ritardo di una settimana in rapporto all’anno precedente. Eppure, tutto ciò può cambiare da un momento all’altro. Possiamo fare qualche scommessa, ma è ancora troppo presto.

Quello che è interessante è la pubblicazione quest’anno da parte del GIEC della prima parte del nuovo rapporto quando noi staremo attraversando il Passaggio di Nord-Ovest. Il rapporto aggiornerà le previsioni sullo scioglimento della banchisa proprio quando noi saremo lì a osservare il fenomeno in diretta sul posto.



- Quali le aspettative per questa spedizione?


Ciò che facciamo e faremo per la scienza in questa parte del mondo è davvero innovatore e contribuirà alla conoscenza di questo oceano, in un momento cruciale! L’Artico è testimone diretto dei cambiamenti climatici del nostro pianeta. Vi si sono rilevati cambiamenti molto più rapidi rispetto al passato, siamo tutti preoccupati, tanto i popoli che abitano le coste artiche quanto l’intera popolazione mondiale.



- Qual è il senso del partenariato che avete siglato la settimana scorsa con l’UNESCO?


È il risultato del nostro lavoro con l'ONU dopo la conferenza Rio+20 e le collaborazioni informali che portiamo avanti da qualche tempo con la Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO. Siamo fieri che Tara sventoli i colori dell’UNESCO.

Educazione, Scienza e Cultura sono al centro delle nostre due istituzioni; per me è un partenariato che ha un senso molto profondo.



- Tara Expéditions ha avviato lo scorso 11 aprile l’Appello di Parigi per l’Alto Mare. Ce ne può parlare?


Essendo un appassionato di vela, ho scelto la libertà, ovviamente. Ma ciò non deve condurre a qualunque eccesso nell’Alto Mare. Dobbiamo difendere uno statuto per l’Alto Mare, ed è per questo che è nato l’Appello di Parigi. Il grande pubblico, i cittadini possono far arrivare dei messaggi ai nostri dirigenti e incidere sulle scelte politiche. Firmate l’appello, è un gesto semplice e facile per cercare di salvare l’Oceano. Tutti sono preoccupati per il mare, perché la terra è un solo e unico ecosistema.

Tali questioni, che dovranno essere discusse all’ONU da qui al 2014, non devono essere rimandate alle calende greche. Ci stiamo già muovendo per riunire gli stati portatori dello stesso messaggio all’ONU.





* zona di fioritura massiva di micro-organismi planctonici.

2.7.13

La ricerca scientifica tra Murmansk e Dudinka



Stephane Pesant e Lee Karp Boss al lavoro durante una sosta di campionamento. 
A.Deniaud / Tara Expéditions

72° 32 Nord e 44° 06 Est, questo è il luogo in cui gli scienziati di Tara Oceans Polar Circle hanno deciso di spegnere i motori per iniziare la prima lunga sosta di campionamento del tratto Murmansk-Dudinka (Russia). In questo punto, le masse d'acqua provenienti dall'Atlantico entrano nel Mare di Barents da sud e vanno incontro alle masse d'acqua polari. In questa zona detta fronte polare, marinai e scienziati hanno programmato di eseguire ventidue messe in acqua in due giorni consecutivi. Una vera maratona per la scienza, che si ripeterà altre tre volte durante il mese di navigazione tra i due porti russi.

Lunedi mattina, ore 07:30. Sul ponte di Tara, l'equipaggio è pronto per dare avvio alle operazioni della prima lunga sosta dopo Murmansk. Il sole splende in alto, quasi a voler incoraggiare con la sua presenza l’equipaggio e un clandestino a bordo, un esemplare di Uria, un cugino del piccolo pinguino artico venuto ad assistere alle operazioni. Come al solito, la rosetta munita di CTD, è il primo strumento a “tuffarsi” in acqua. Le dieci bottiglie Niskin vengono immerse nell’acqua a 7.5° C al fine di ottenere i primi campioni che definiranno il profilo della colonna d'acqua.

"Abbiamo trovato il Massimo profondo di clorofilla, o DCM (Deep Chlorophyll Max), ovvero la profondità dove c'è più clorofilla, e quindi fitoplancton, a una quarantina di metri sotto la superficie. Ci si aspettava di avere un DCM più profondo e meno pronunciato a causa delle masse d'acqua atlantica e della stagione estiva già inoltrata, ma credo che percepiamo ancora l'influenza delle acque costiere", rivela Stéphane Pesant, uno dei due capi scienziati di questa tappa.

I campioni mostrano che l'ambiente non è molto produttivo nella zona, almeno in questo momento. "Non ci sono molte diatomee *, per contro ho osservato molti dinoflagellati ** e sono bellissimi!”, dice Joannie, entusiasta, mentre esce dal laboratorio secco. I dinoflagellati sono microrganismi mixotrofici, che possono sopravvivere con o senza luce. Le diatomee, invece, non possono vivere né senza luce né senza nitrati.

Sul ponte continuano le operazioni. La rosetta, le reti, la rete manta per la raccolta dei rifiuti di plastica, ma anche la pompa ad alta portata, tutto è pronto per esplorare le profondità dell'oceano, dando continuamente lavoro al team di scienziati: tutto deve essere filtrato e messo in ogni flacone campione, rigorosamente dotato di un codice a barre, e poi conservato in frigorifero o nel congelatore.

La maratona per la scienza continua. Il vantaggio di effettuare campionamenti nell'Artico in questo periodo dell'anno è che non è necessario vegliare la notte! Il sole inonda continuamente il grande blu e il plancton non fa migrazioni verticali giornaliere. Sono le 19:30 di lunedì sera e il ponte di Tara è ancora in fibrillazione. A questa lunga sosta di campionamento seguiranno delle soste brevi giornaliere. È grazie al confronto tra le diverse soste di campionamento che gli scienziati potranno determinare in che misura la prima sosta sia stata rappresentativa delle acque atlantiche.

L'obiettivo di questa tappa tra Murmansk e Dudinka è infatti di prelevare campioni in diverse masse d’acqua caratteristiche del Mare di Barents e del Mare di Kara. Dopo le masse d'acqua dell'Atlantico a sud del fronte polare, gli scienziati effettueranno una seconda sosta lunga a nord del fronte polare, dove immergeranno i loro strumenti nelle acque polari artiche libere dal ghiaccio. "Questa seconda sosta consentirà di mettere a confronto ecosistemi planctonici tra il sud e il nord del fronte polare", spiega Stéphane Pesant. Poi Tara si dirigerà verso il limitare della banchisa, sperando di arrivare in tempo prima che il ghiaccio si ritiri. In queste alte latitudini, gli scienziati si augurano di poter studiare gli ecosistemi del ghiaccio marino. La quarta e ultima sosta, prima di arrivare a Dudinka, verrà condotta nelle belle fresche acque di Enisej, a quasi dodici miglia nautiche dalla costa.

Un vasto programma, dunque, quello che attende il team di scienziati di Tara, che verrà svolto in condizioni che dovrebbero essere sempre più dure. Per ora, la presenza dell’Uria è l’unico indizio che indica all’equipaggio di Tara di essere veramente nell'Artico.


Anna Deniaud Garcia e Stéphane Pesant 


* micro-alga unicellulare, avvolta da un unico guscio a base di silicio
** micro-alghe unicellulari con due flagelli, un involucro di cellulosa, e cloroplasti che consentono loro di svolgere la fotosintesi

30.6.13

Un “tour” degli scienziati a bordo



Prima breve sosta scientifica nel tratto Mourmansk-Doudinka. 
A.Deniaud/Tara Expéditions


Il grande blu circonda di nuovo la goletta scientifica. Murmansk è ormai un puntino sulla mappa. Della nostra prima tappa in Russia, rimane solo la polvere nera sul ponte, nonostante le grandi pulizie. Tara naviga ora sul Mare di Barents, ed è in queste acque che gli scienziati hanno calato gli strumenti per la prima breve sosta nel tratto tra Murmansk e Dudinka, in Russia. Lunedi inizia una lunga sosta: due giorni consecutivi di prelievi. Ma prima di entrare nel vivo dei lavori in corso e di immergerci in spiegazioni scientifiche, ecco una rapida panoramica del team di scienziati presenti a bordo. 


Lee Karp Boss. 48 anni. Orono. Stati Uniti d'America. 
Da Murmansk a Dudinka, Lee svolgerà le funzioni di responsabile scientifico. Insieme al comitato scientifico a terra, decide le posizioni delle stazioni di campionamento. Oltre a coordinare il team, preleva i campioni di virus e batteri per il laboratorio umido situato sul ponte. Originaria di Israele, Lee vive e lavora negli Stati Uniti, dove svolge attività di ricerca e tiene corsi sull’ecologia del fitoplancton presso l'Università del Maine. Lee ha già collaborato come responsabile scientifico durante la spedizione Tara Oceans 2009-2012 nella traversata Valparaíso - Isola di Pasqua. 

Stéphane Pesant. 44 anni. Brema. Germania. 
Responsabile scientifico in questo tratto insieme a Lee, Stéphane aiuta nelle operazioni di coordinamento delle stazioni di campionamento e nella raccolta dati. Si occupa anche della rosetta. Nato in Québec, Stephane ha lavorato per tre anni a Brema presso una casa editrice che pubblica testi scientifici di biologia marina. Questo tragitto verso l'Artico è la sua quinta tappa, oltre alla precedente spedizione Tara Oceans. 

Sergey Pisarev. 55 anni. Mosca. Russia. 
Ricercatore di oceanografia fisica, specialista dell’Artico, Sergey è il rappresentante ufficiale della Russia a bordo. Coordinatore scientifico durante il progetto "Damocles", ha navigato a bordo di Tara prima che la barca rimanesse “intrappolata” nel ghiaccio nel 2006. Sette anni più tardi, ritorna a bordo, e ritrova il nostro capitano Samuel Audrain, già incontrato a bordo della goletta nella stazione Barneo. A bordo, Sergey si occupa del campionamento dello zooplancton e della rosetta. Nel tempo libero, "l'unico russo a bordo" dovrà rispondere alle numerose richieste dei suoi compagni di squadra, curiosi di sapere di più sul suo paese e le sue numerose spedizioni nell'Artico. 

Marc Picheral. 50 anni. Villefranche-sur-Mer. Francia. 
Di nuovo al posto di ingegnere oceanografico. Dopo i dieci mesi a bordo durante Tara Oceans, Marc ritrova il proprio posto sul ponte posteriore della goletta dove vengono messe in acqua tutte le attrezzature. Oltre alle manovre durante le soste scientifiche, Marc gestisce il buon funzionamento delle altre apparecchiature di bordo. A Dudinka, sbarcherà per ritornare al suo laboratorio a Villefranche-sur-Mer e passerà il testimone a Claudie, sua collega per quasi trent'anni, che prenderà il comando della strumentazione. 

Claudie Marec. 51 anni. Québec. Canada. 
Dopo 26 anni presso il CNRS a Brest, Claudie ha attraversato l'Atlantico per lavorare presso il laboratorio Takuvik (Università Laval-CNRS) in Québec. Lì, gestisce la strumentazione dedicata alle misurazioni nell'Artico, principalmente quelle di bloom del fitoplancton a margine della banchisa, nel mare di Baffin. Imbarcatosi a Murmansk, Claudie occupa la posizione di ingegnere oceanografico fino all'ultimo scalo russo, a Pevek. 

Céline Dimier. 35 anni. Villefranche-sur-Mer. Francia. 
Per gli appassionati di Tara Oceans, le presentazioni sono superflue. Céline ha trascorso quasi due anni sul ponte di Tara indossando i suoi stivali di sicurezza e i suoi guanti di gomma. Ingegnere biologa, Celine si occupa del campionamento dei protisti per il laboratorio umido, situato sul ponte. A bordo dall’uscita del porto di Lorient, sbarcherà a Dudinka per far ritorno sul versante canadese a Tuktoyaktuk. 

Joannie Ferland. 30 anni. Québec. Canada. 
La più giovane del gruppo, al suo primo viaggio a bordo di Tara, Joannie lavora con Claudie nel laboratorio Takuvik. Per otto anni, ha partecipato alle campagne della prestigiosa "ArcticNet" nell'Artico canadese, a bordo del rompighiaccio "NGCC Amundsen". Su Tara, Joannie di occupa di imaging e ottica nel laboratorio secco. 


Anna Garcia Deniaud

26.6.13

Primo contatto con la Russia

A.Deniaud/TaraExpéditions

In base alle istruzioni di Yury, la nostra guida russa, abbiamo risalito il fiume Kol'skiy Zaliv, che porta a Murmansk. Mentre Yury, esperto nel compito, sorvegliava le operazioni di comando o fumava l’ennesima sigaretta, noi ce ne stavamo tutti con gli occhi fissi sulle rive del fiume per assistere allo spettacolo che si offriva al nostro cospetto. Al di là dell'emozione di trovarsi faccia a faccia con queste imponenti navi rompighiaccio nucleari, di cui avevamo sentito parlare così tanto, siamo soprattutto curiosi di scoprire un pezzo dell’immensa Federazione Russa. Trentuno volte più grande della Francia, saremo ospiti di questo paese per più di due mesi.

La quiete e il paesaggio al confine con il Kol'skiy Zaliv sono un lontano ricordo. Da lunedì pomeriggio Tara è ormeggiata nel porto commerciale di Murmansk, in una zona dove le gru non si stancano mai di riempire o di svuotare i ventri delle grandi navi. Ci dovremmo quindi abituare al costante ronzio dei motori, ai colpi di catena nei contenitori, e al fischio della piccola locomotiva tricolore, felice ogni volta di fuggire per un momento a quel campo di polvere. Circondato da montagne di minerali di ferro e carbone, il ponte di Tara perderà gradualmente il suo biancore. Le nostre mani e scarpe iniziano ad assomigliare a quelle dei minatori.

Tara rimarrà ferma sulla banchina numero 16 per cinque giorni. Fin dai primi momenti, ci siamo resi conto di quanto sarà difficile comunicare qui. Solo Vincent Le Pennec, un nostro assistente, e Celine, la nostra cuoca, avevano tentato, prima di partire per la spedizione, di imparare questa lingua. Ma, per la costernazione di tutto l'equipaggio, i due addetti hanno dimenticato quasi tutto! E la speranza di essere capiti in inglese è vana. L'episodio dell’ormeggio ha – in un certo grado - dell’epico. Ciascuno tirando le cime degli ormeggi dalla sua parte - gli ospiti sulla banchina, e noi, gli invitati, sul ponte. C'è mancato poco che scoppiasse una lite. Una cima in ogni mano, Marc Picheral è stato rimproverato senza potere nemmeno replicare, o eseguire l'ordine che gli era stato impartito in maniera secca. Fortunatamente, dopo aver attraccato la goletta correttamente, solo la tensione delle cime degli ormeggi si è accentuata, tutte le altre si sono disperse.

Dopo poche ore, le autorità russe ci hanno fatto visita. Non ci è voluto molto per sbrigare le pratiche... Dopo aver timbrato i documenti, abbiamo finalmente potuto visitare Murmansk, la città più grande dell’Artico, con oltre 350 mila abitanti. Fuori il sole era radioso, le temperature erano intorno ai 25° C. Oggi, addirittura 29° C, un record dopo molti anni! Per lasciare il porto in ebollizione, abbiamo costeggiato la ferrovia, dove passa la piccola locomotiva tricolore. A ogni nostro passo si sollevava una nuvola di polvere nera che ricadeva pesantemente sulle nostre tracce. Avevamo percorso circa un chilometro fino a che un posto di blocco ci ha sbarrato la strada. Abbiamo dovuto mostrare che avevamo tutte le carte in regola. Il controllo non è durato a lungo… Ci hanno autorizzato a entrare in territorio russo.

25.6.13

Una missione unica: tutti i giorni insieme a noi!




F.Latreille/Tara Expéditions



francetv nouvelles écritures, France3, Thalassa e Tara Expéditions presentano il sito «Tara Live Arctique» visitabile da oggi all’indirizzo: www.francetv.fr/tara


Seguite la spedizione Tara Oceans Polar Circle dal vivo su Internet. Ogni giorno troverete le immagini e le foto inviate dal team a bordo di questa incredibile avventura scientifica e umana: 25.000 chilometri sul Mar Glaciale Artico. Le immagini “grezze”, non elaborate provengono da quattro telecamere situate in vari punti della goletta. Per maggiori informazioni sulla spedizione, fare clic qui (in francese o inglese).


Grazie all’"immagine del giorno", potete seguirci ogni giorno anche su Instagram e Twitter: #TARAexpeditions.

22.6.13

Il passaggio a Capo Nord

A.Deniaud/TaraExpéditions
Dopo l’ascolto delle arie di fisarmonica per la festa della musica, sabato pomeriggio abbiamo superato Capo Nord, sotto un cielo ondeggiante. Coccolati dalla Corrente del Golfo*, abbiamo potuto ammirare sul ponte di Tara le leggendarie falesie, approfittando di temperature miti, intorno ai cinque gradi. Più di 180 miglia nautiche, e ora sventoleremo una nuova bandiera di cortesia, i colori della Russia prenderanno il posto di quelli della Norvegia…

Il porto di Tromsø è ormai lontano, ma sarà ricordato come una piacevole tappa della spedizione Tara Oceans Polar Circle. Sotto un sole radioso, Tara si è intrufolata tra i fiordi della Norvegia, in attesa del solstizio d'estate, in quella che per molti viaggiatori è la tappa finale o il sogno del loro viaggio: Capo Nord. 71° 09 Nord e 25° 47 Est. Come suggerisce il nome, questo capo si trova nel punto più a nord d'Europa. Come Capo Horn o il Capo di Buona Speranza, anche se meno pericoloso, doppiare questo capo è un’impresa leggendaria per chi naviga. Così abbiamo tirato fuori le macchine fotografiche e scritto su un piccolo foglio di carta la data e il luogo, per immortalare il momento per sempre. Curiosamente, ci siamo avventurati verso l'ingresso della baia per guardare più da vicino queste scogliere rocciose, su cui è ancora visibile la neve di un bianco immacolato e una vegetazione verdeggiante che sta tentando di far valere i propri diritti dopo i lunghi mesi invernali. L’escursione è stata piacevole, ma il dovere ci chiama e così abbiamo preso la rotta di Murmansk. A sostegno di questa nostra saggia decisione, il sole si è assentato un momento per lasciare posto a un acquazzone. Abbiamo raccolto il bucato steso sul ponte posteriore della goletta, e ci siamo riuniti attorno al tavolo per un buon pasto. Appagati dalla piacevole giornata trascorsa, eravamo ben lungi dall'immaginare che un'altra sorpresa ci attendeva a poche miglia nautiche di distanza.

Mentre eravamo seduti a tavola, Nicolas de la Brosse, ufficiale sul ponte di Tara, aveva iniziato in solitudine il suo quarto di guardia notturna in timoneria. Quarto di guardia notturna, il termine ha certamente poco significato in mezzo a queste interminabili giornate, ma il compito rimane essenziale. Brevemente. Durante il suo turno di notte Nicolas ha osservato uno strano fenomeno all'orizzonte. "Fin dall'inizio del turno, ho avuto difficoltà a valutare le distanze, la linea dell'orizzonte era offuscata. Tutt’a un tratto, ho visto il cargo rosso a tre miglia nautiche da noi, il triplo in volume, per poi scomparire in soli trenta secondi." Per mettere a tacere le sue allucinazioni, ci invita a unirci a lui sul ponte. Sotto i nostri occhi attenti e sotto gli obiettivi delle telecamere, il fenomeno si ripete. Forse un miraggio, l’effetto Novaja Zemlja probabilmente! L'effetto Novaja Zemlja, dal nome russo dell’arcipelago del Mar Glaciale Artico fra il Mar di Barents e il Mar di Kara, è stato osservato per la prima volta nel 1596 dai naufraghi dell’esplorazione di William Barents, celebre navigatore ed esploratore olandese. Non è nient’altro che un miraggio atmosferico polare. In circostanze particolari, l'atmosfera si trasforma in guida di onde, cioè guida i raggi luminosi del sole su una traiettoria insolita. A causa di questo fenomeno che Gerrit de Veer, uno dei membri dell'equipaggio della spedizione Barents la cui barca è rimasta bloccata tra i ghiacci, osservò durante l'inverno polare, il sole sorge due settimane prima della data normale. Senza alcun dubbio, questa spedizione artica non ha ancora finito di sorprenderci!

Anna Garcia Deniaud

*Corrente del Golfo: corrente marina calda dell’Atlantico che tempera i climi litoranei dell’Europa del Nord-Ovest.

21.6.13

Sam, Capitano delle acque gelide.

Addio Tromsø (Norvegia), direzione Murmansk (Russia). Questo viaggio tra i fiordi, Tara e Samuel Audrain lo conoscono bene. Nel 2006, prima di iniziare la deriva artica, goletta e marinaio avevano già affrontato insieme la stessa rotta. All'epoca Samuele era un semplice marinaio. Oggi, è il capitano!

A.DeniaudGarcia/TaraExpéditions
Da Tromsø a Dudinka, è a Samuel Audrain che tocca prendere il comando della goletta scientifica. Come per Loïc Vallette, suo predecessore, anche per Samuel si può dire che sapesse condurre una barca a vela ancora prima di camminare! Per lui, il mare è un parente stretto. In famiglia, lo zio ha rimesso in funzione i vecchi impianti. Il bisnonno era un capitano di lungo corso all’epoca in cui il vapore ha iniziato a fare ombra alla vela. La zia, fotografa di mare. Il nonno trascorre il tempo libero a bordo del Jacaré, un melody di dieci metri…

Sulle onde della Loira, a pochi chilometri da Nantes, Samuel sperimenta giovanissimo lo hobby cat 16 e il windsurf. "Avevo solo dieci anni quando mio zio mi ha iniziato alla tavola. Non ero abbastanza pesante per sollevare la vela, così mi ha dato uno zaino pieno di bottiglie d'acqua." A sedici anni, il "marinaio di acqua dolce" ha fatto il suo primo viaggio, dalla Grecia al sud della Francia, insieme al nonno. Dopo un’avventura così bella è difficile fare marcia indietro. Samuel diventa monitor alla scuola dei Glénans, poi si butta sul brevetto di vela, prima di ottenere un Brevetto di Padrone del Diporto alla Vela (BPPV). In Gran Bretagna e alle Antille, il giovane trascorre il suo tempo sull’acqua o sott’acqua!

Grazie al diving, Samuel entra per la prima volta in contatto con il mondo delle esplorazioni. A Clipperton ha occasione di partecipare a una spedizione di Jean-Louis Etienne, il famoso esploratore francese, ex-proprietario di Antarctica, l’attuale Tara. La spedizione Clipperton consiste nel fare un inventario della flora e della fauna dell'atollo. Sam fa parte della squadra logistica subacquea. "Mi sono reso conto che mi tuffai senza sapere veramente cosa fosse l’immersione.». Per rimediare a questa lacuna, al ritorno si iscrive a un corso di formazione subacquea per professionisti.  Con questa doppia formazione alle spalle, Sam conosce Etienne Bourgois, presidente di Tara Expeditions. Jean-Louis Etienne gli aveva parlato di lui…

Samuel ha convinto ancora una volta! Nel 2005, si è imbarcato sulla goletta polare. Dopo una sosta a Capo Verde, giunge nella Georgia del Sud per una missione scientifica per studiare il ritiro dei ghiacciai, le procellarie e i leoni marini. Una seconda missione in Georgia del Sud, poi un cantiere a Lorient, e infine a bordo di Tara per guidare la barca fino all'ultimo scalo siberiano, prima di incontrare la banchisa. "Siamo passati attraverso gli stessi luoghi: Tromso, Mursmansk… È bello tornare qui, la gente ci riconosce!". Allora l’appassionato di vela comincia seriamente a tenere d’occhio le macchine. "Ho subito capito che su Tara la parte meccanica è molto importante!". Sperando in un  reimbarco futuro, Samuel torna a scuola per imparare la meccanica.

Con il diploma di meccanico per imbarcazioni fino a 750KW in tasca, il desiderio si fa sentire maggiormente. Si unisce di nuovo all’equipaggio di Tara nella deriva artica. Rimane undici mesi a bordo come meccanico. Pochi giorni prima della partenza, in veste di subacqueo, Samuel trova un nuovo pericoloso avversario da superare: il ghiaccio. Si fonderà completamente! Gli scricchiolii della banchisa non lo fanno desistere. Nel 2010, durante Tara Oceans, Sam intraprende la spedizione "Under the pole” (Sotto il Polo). L'obiettivo della missione: filmare sotto il ghiaccio artico. Nell’aereo canadese che lo porta fino al Polo Nord, Samuel nota l’adesivo di Tara. "Era  lo stesso pilota che ci aveva portato lì per la deriva! " Il mondo dell’esplorazione non è così grande…

Insaziabile avventuriero e studioso, Samuel diventa nel 2011 Capitano 500. Oggi ha tutte le qualifiche e l'esperienza necessaria per prendere il comando di Tara. Così, quando Roman gli offre di imbarcarsi come capitano in una spedizione intorno al Circolo Polare Artico, Tara Oceans Polar Circle, capite bene che il professionista della navigazione e l’appassionato dei ghiacci non può dire di no! Il resto della storia verrà scritta nei prossimi giorni…
Anna Garcia Deniaud

19.6.13

La testimonianza di Lionel Guidi (Villefranche/CNRS), scienziato capo a bordo di Tara, nel tratto tra Lorient e Tromso.

Y.Chavance/TaraExpéditions
È stata una delle migliori missioni a cui ho avuto modo di partecipare. Tara, essendo una barca a vela che a priori potrebbe rappresentare un ostacolo in una missione oceanografica, è stata fortemente adattata alle nostre esigenze, grazie a una serie di migliorie apportate quali il laboratorio umido o il laboratorio secco.

La partenza da Lorient il 19 maggio è stata incredibile e rimarrà uno dei ricordi più belli della mia carriera scientifica. Questa missione per me non è stata solo un’avventura scientifica, ma anche una vera e propria avventura umana. Tutta l’équipe di Tara, a terra e in mare, ha fatto tutto il possibile per facilitare il nostro lavoro.

L'equipaggio (Loïc, Samuel, Daniel, François, Louis, Dominique) era eccezionale, sempre pronto ad aiutare e a mettere in funzione tutti i mezzi per garantire che il lavoro avvenga nelle migliori condizioni. Dominique, la nostra cuoca, aveva verso di noi mille attenzioni (tè, cioccolata calda, snack e molto altro) e si prendeva cura di noi tutti i giorni, sono piccoli dettagli che rendono più gradevole il lavoro sul ponte, di per sé duro e svolto in condizioni difficili. A bordo regnava una vera e propria atmosfera collegiale, e la coesione tra scienziati e marinai è reale e molto efficiente. Il fatto che la scienza partecipi ai doveri della vita in barca (lavare i piatti, fare le pulizie, i turni di guardia e così via) è certamente un fattore promotore di tale coesione. Dopo un mese a bordo abbiamo la sensazione di essere parte di una "famiglia".

Per concludere, l'unica cosa impossibile con Tara è non aver voglia di reimbarcarsi!
Lionel Guidi

14.6.13

Tara in Norvegia

Da qualche ora si sente già il profumo della terra. Un gran daffare a bordo, tutti gli orologi regolati sull’ora norvegese, aumenta il numero di barche attorno a noi, e da ieri sera si avvistano all’orizzonte le prime cime innevate. Dopo varie ore di navigazione, Tara è arrivata venerdì a mezzogiorno a Tromsø, nel nord della Norvegia.

Tara a Tromsø. Y.Chavance/Tara Expéditions

Sotto il sole radioso di questa fine mattinata, Tara penetra finalmente nei fiordi norvegesi. Da una parte e dall’altra della goletta, alcune colline verdeggianti si immergono nel mare, lasciando intravedere in lontananza le alte cime innevate.  Dopo alcune ore, il braccio di mare si restringe consentendoci di vedere le prime case di legno, che appena contrastano con il loro aspetto grandioso. Attorno a un piccolo isolotto, il leggendario Hurtigruten, il famoso servizio di traghetti costiero norvegese, ci doppia. Non importa, siamo tutti sul ponte per vivere le nostre prime ore norvegesi al nostro ritmo. Presto saremo a Tromsø.

Dopo il nostro breve passaggio alle isole Faroe, due settimane fa, questa sosta norvegese rappresenta il primo vero e proprio scalo della nostra spedizione. Un’intera settimana attraccati in porto, il tempo di recuperare dell’altro materiale, e soprattutto di effettuare il cambio dell’equipaggio. Durante questa settimana, a undici persone, fra marinai e scienziati, verrà dato il cambio, sostanzialmente a quasi tutto l’equipaggio. Uno scalo importante da un punto di vista logistico, quindi, ma anche di grande portata simbolica. Tromsø, per statuto e storia, è una tappa obbligatoria in una simile spedizione verso l’Artico.

La città conobbe il suo massimo splendore nel periodo d'oro dell'esplorazione polare. Tromsø era allora una vera e propria porta verso l'Artico, mitico punto di partenza per tutti gli esploratori leggendari come Amundsen e altri, le cui gesta sono raccontate nel grande museo polare della città. Oggi, Tromsø detiene ancora un posto centrale nella regione artica, da un punto di vista scientifico. L'università, una delle più a nord del mondo, riceve migliaia di ricercatori e studenti interessati nelle regioni polari. Inoltre ha sede qui l'Istituto polare norvegese. L'Istituto norvegese funge da autorità per tutte le questioni relative alla ricerca scientifica nell’Artico: la biodiversità degli ecosistemi marini, il cambiamento climatico, l'oceanografia e così via.

Da un punto di vista politico, infine, Tromsø ospita anche un ufficio permanente dell’Arctic Council. Questa organizzazione intergovernativa che raggruppa tutti gli stati che si affacciano sul Mar Glaciale Artico è un esponente di primo piano per lo sviluppo, la tutela delle popolazioni indigene, la salvaguardia dell'ambiente e la politica di gestione nella regione. Con una tale importanza per l'Artico, era inevitabile che questa città di 65.000 abitanti a 300 chilometri dal Circolo Polare Artico diventasse una tappa fondamentale della nostra spedizione.
Yann Chavance

13.6.13

Gli strumenti di Tara: il CPR

A bordo della goletta, tra la marea di dispositivi elettronici, microprocessori e circuiti stampati, il CPR (Continuous Plankton Recorder) sembra un oggetto di un'altra epoca. Una struttura in metallo, dei rotoli di seta, un’elica e degli ingranaggi, questo semplice meccanismo è rimasto praticamente invariato da quasi un secolo, sempre con la stessa efficacia.

Dal 1930, centinaia di traghetti, cargo e altre navi si sono già trascinati dietro nella loro scia questa grande scatola di metallo di quasi 100 chili. Una ragione di questo successo è probabilmente la facilità d'utilizzo del CPR: basta mettere in acqua questa robusta scatola attaccandola all’estremità di un cavo, a pochi metri di profondità, e recuperarla a bordo pochi giorni dopo, piena zeppa di organismi planctonici. Il principio di questo apparecchio non è molto complicato. Un piccolo foro nel guscio esterno consente all’acqua di mare di entrare per poi passare tra due rotoli di seta. L'acqua viene così filtrata, intrappolando il plancton tra due sottili strisce di seta. Il tutto è infine raccolto nella formalina sul retro. Basta poi  cambiare i rulli di seta, una volta srotolati per riprodurre l’operazione.

J.Collet/TaraExpéditons

Per far funzionare questo meccanismo, non occorre nessun motore o chip elettronico. Il flusso dell'acqua generato dalla velocità della barca aziona una piccola elica che fa ruotare in modo continuo i rotoli di seta attraverso un abile gioco di ingranaggi. Questa semplicità tuttavia ha qualche  svantaggio  in quanto rallenta una nave come Tara, poco veloce. Ma questo è il prezzo da pagare per raccogliere in modo continuativo un gran numero di dati completamente nuovi. Perché se molte navi hanno usato questo sistema in passato, nessun CPR era mai stato utilizzato nel Mar Glaciale Artico. La nostra spedizione intorno al Polo Nord è quindi un'occasione unica per completare i dati globali già raccolti in tutto il mondo.

A bordo di Tara, tre CPR sono stati incorporati per i sette mesi della spedizione. Dopo ogni stazione, un CPR viene messo in acqua, fino alla sosta successiva. Gli organismi intrappolati nella formalina saranno poi inviati alla Sir Alister Hardy Foundation per Ocean Science (SAHFOS), la fondazione che analizza i dati dei CPR in tutto il mondo. I risultati saranno messi a disposizione della comunità scientifica, tra cui i laboratori coinvolti nel progetto Tara Oceans Polar Circle, e andranno a integrare la ricchezza di dati forniti da altri strumenti di misurazione a bordo di Tara.

Yann Chavance

10.6.13

Nelle acque dell'Artico



Y.Chavance/Tara Expéditions
La terza lunga sosta per effettuare campionamenti, e il cui termine è previsto per lunedì, offre agli scienziati una buona visione d'insieme delle condizioni che li attendono per il resto della spedizione. Proseguendo la nostra rotta verso nord, dopo le Isole Faroe, le temperature sono inevitabilmente scese sotto lo zero.

Dopo il mal tempo incontrato poco dopo la partenza da Lorient, le condizioni metereologiche sono rimaste ottimali con temperature relativamente elevate per queste latitudini, mare piatto, cielo azzurro appena offuscato da un paio di giorni di nebbia, insomma, un momento perfetto per lavorare sul ponte posteriore di Tara. Dopo la lunga sosta della settimana scorsa, gli scienziati a bordo hanno approfittato del meteo favorevole per effettuare una sosta quotidiana breve. Ogni giorno, la goletta si fermava qualche ora per raccogliere quante più informazioni sulla massa d’acqua sottostante: temperatura, salinità o presenza di nutrienti in superficie. Per una settimana, i vari sensori della spedizione hanno permesso di analizzare il più finemente possibile le diverse masse d'acqua attraversate.

Domenica è partita la terza lunga sosta di questo inizio spedizione che segna la ripresa dei prelievi di campioni di plancton; stavolta però in condizioni molto più difficili per i sei scienziati al lavoro sul ponte posteriore. A 76° di latitudine nord, le temperature si aggirano intorno agli zero gradi, e non manca l'arrivo di qualche fiocco di neve che si posa sulla rosetta. La temperatura dell'acqua non è molto più alta. In queste condizioni, gli strati di abbigliamento aumentano per coloro che si alternano sul ponte, e non mancano cappelli e guanti. Periodicamente appare in cucina uno degli scienziati completamente congelato che viene a riscaldarsi con una bevanda calda, prima di tornare di nuovo a immergere la rosetta o la rete in acqua…

Questa terza sosta segna anche il vero ingresso della spedizione nelle acque artiche. Dopo una prima tappa alle Isole Faroe nell'Oceano Atlantico, una seconda la settimana scorsa nelle calde acque della corrente dell’Atlantico settentrionale, con questa terza sosta abbiamo finalmente lasciato questa corrente per andare a incontrare le fredde acque del Mar Glaciale Artico. Alla fine, le prime tre stazioni di campionamento, collegate tra loro da brevi soste quotidiane, hanno permesso di studiare qualsiasi variabilità offerta da questa regione, tra le acque calde del Golfo e quelle fredde del Polo. Per gran parte dell’equipaggio, da poco sostituito a Tromsø, in Norvegia, gli ultimi giorni di lavoro a bordo hanno il sapore della soddisfazione: missione compiuta per questa prima tappa.

Yann Chavance

7.6.13

Sotto il sole di mezzanotte

Nonostante la foschia che da qualche giorno lo tiene nascosto, il sole non tramonta più sul ponte di Tara, limitandosi a scendere timidamente verso l'orizzonte prima di tornare di nuovo in cielo. Questo giorno perpetuo, anche detto giorno polare o sole di mezzanotte, è dovuto ai complessi movimenti della terra intorno al sole.
 
Y.Chavance/TaraExpédition

Per comprendere il fenomeno, immaginate una lampadina fissata al suolo, che fa le veci del sole. Ora prendete una trottola tonda, attraversata da un’asticella di metallo dall’alto (Polo Nord) verso il basso (Polo Sud). La trottola, ossia la Terra, gira intorno alla lampadina descrivendo un cerchio quasi perfetto. Ci impiegherà 365 giorni per completare il giro attorno al suo sole, girando su se stessa ogni 24 ore. In ogni momento, metà della trottola riceverà quindi la luce, mentre l'altra metà rimarrà al buio.

La durata del giorno è dovuta a un altro fattore. L’asticella di metallo, corrispondente all’asse di rotazione, non è perfettamente perpendicolare al terreno. In altre parole, la vostra trottola è leggermente inclinata con un angolo di circa venti gradi. A un certo punto della rotazione intorno alla lampadina (solstizio d'estate), la parte superiore della trottola sarà rivolta verso la luce: è estate per l'emisfero nord, le giornate si allungano. Sei mesi più tardi, durante il solstizio d'inverno, sarà la parte inferiore a essere rivolta verso il sole: d’inverno infatti si accorciano le giornate nell'emisfero settentrionale, ed è estate a sud dell’equatore.

Infine, durante il solstizio d'estate, quando l’emisfero settentrionale è rivolto verso la luce, date un’occhiata alla zona intorno all’asticella di metallo che fuoriesce dalla parte superiore della vostra trottola (Polo Nord). A causa del suo asse di rotazione leggermente inclinato, vediamo che questa zona è costantemente esposta alla luce, anche quando la parte superiore della trottola gira su se stessa: si tratta del giorno polare, il polo non potrà mai essere al buio. Allo stesso tempo, l'area intorno all'asticella di metallo della parte inferiore della trottola (Polo Sud) è costantemente immersa nella notte polare.

Ai due poli, il giorno polare dura sei mesi, mentre la notte si prolunga per gli altri sei mesi dell'anno. Più ci allontaniamo da queste latitudini estreme, meno il fenomeno dura nel tempo. Per definizione, il Circolo Polare Artico è la latitudine più bassa dove il sole non tramonta per almeno 24 ore nel giorno del solstizio d'estate e non sorge il giorno del solstizio d'inverno. Nell'altro caso estremo, all'equatore, la durata del giorno è la stessa durante tutto l'anno. Per Tara che trascorrerà la maggior parte della spedizione oltre il Circolo Polare Artico, il giorno polare scaccerà la notte per molte settimane.

Gli strumenti di Tara: l’UVP

Per continuare la serie dedicata agli strumenti presenti a bordo di questa spedizione ci soffermeremo nuovamente sulla rosetta e spiegheremo in dettaglio un dispositivo di imaging: l’UVP (Underwater Vision Profiler).




Tra le bottiglie di campionamento della rosetta c’è un intruso, un bizzarro strumento: un lungo cilindro di metallo verticale che sovrasta due cilindri orizzontali. Se la scritta "UVP" presente sul dispositivo non dice nulla al neofita, per gli specialisti, l’acronimo evoca un potente sistema di imaging integrato in grado di contare e misurare tutte le particelle superiori a 100 micron, ovvero un decimo di millimetro. Tra queste particelle, c’è anche il piccolo zooplancton, il famoso plancton "animale", anche detto "neve marina".

Il nome risale al 1960, quando i primi sottomarini che guardarono la superficie marina videro una moltitudine di particelle scendere come neve verso il fondo. Queste particelle in realtà sono pezzetti di materia organica: carapaci di zooplancton, frammenti di fitoplancton morto e altri rifiuti organici di ogni tipo. Questa neve marina è particolarmente importante per il clima del nostro pianeta, infatti tutte queste particelle contengono carbonio che potrebbe sedimentare sul fondo dell'oceano e diventare petrolio. Una vera trappola al carbonio, che imprigiona sul fondo gran parte del carbonio atmosferico.

Per studiare la quantità di particelle, la loro distribuzione e dimensione, ma anche la velocità con cui scendono verso il fondo marino, è quindi necessario uno strumento fatto su misura. Per molto tempo, le cosiddette "trappole di sedimenti", specie di raccoglitori di particelle collocati sotto la superficie, erano gli unici strumenti in grado di quantificare questa neve marina. Nel 1989, il laboratorio di oceanografia di Villefranche-sur-mer si occupò del problema e creò un primo prototipo di UVP. Una ventina di anni più tardi, lo strumento si rivelò un successo, e dal 2010 viene commercializzato. Durante la spedizione Tara Oceans, la goletta poteva vantare di avere a bordo il primo prototipo di UVP.


Ma cosa si nasconde dietro a questo strumento innovativo?
L’UVP è composto da una telecamera "intelligente" collegata a un computer in grado di contare e misurare tutte le particelle che vi passano davanti. Se sono presenti particelle di grandi dimensioni superiori a 0,5 mm, l’UVP memorizza le immagini interessanti per analizzarle in seguito. Per visualizzare le particelle che passano davanti all’obiettivo, i due cilindri orizzontali proiettano un sottile fascio di luce: solo le particelle che passano attraverso la luce di due centimetri di spessore saranno visibili alla telecamera. Inoltre è possibile collegare all’UVP molti altri sensori per rilevare altri parametri quali la profondità.

Durante tutto il tempo in cui la rosetta scende sott’acqua, l’UVP scatta in media diecimila immagini, fino a dieci foto al secondo. Gli scienziati raccolgono moltissimi dati sulla quantità di particelle incontrate, la loro dimensione e profondità. Ciascun tipo di particella può quindi essere associato a una velocità di movimento verso il basso, fornendo informazioni preziose sul carbonio nel fondo dell’oceano. Ma gli ingegneri che hanno ideato l’UVP non intendono fermarsi qui. Il loro prossimo obiettivo è migliorare questa telecamera intelligente affinché sia in grado di individuare in tempo reale le particelle incontrate.

Yann Chavance

3.6.13

Tara passa il Circolo Polare Artico

Domenica 2 Giugno 2013 alle 23:07 e 41 secondi esatti, secondo i dati del GPS a bordo, Tara ha superato un traguardo simbolico di questa spedizione intorno al Polo Nord: la traversata del Circolo Polare Artico. Una frontiera invisibile degnamente festeggiata.

Y.Chavance/Tara Expéditions
Da qualche giorno i pronostici sulla data e l'ora di questo famoso passaggio si facevano più certi. Giorno dopo giorno, il computer di bordo dava previsioni sempre più accurate: il passaggio del Circolo Polare Artico avverrà domenica sera. Per via di una lunga fermata prevista per la mattina successiva, molti sono tornati in cabina a malincuore, ma qualche coraggioso ha voluto festeggiare questo momento. Alle 23, ora a bordo, siamo otto i "taranauti" che ci siamo raccolti in timoneria, gli occhi incollati allo schermo del GPS. Fuori, un sole timido riluttante a tramontare. Restano all'orizzonte poche ore, non abbastanza per immergere il ponte nell’oscurità.

Poco prima si era acceso un dibattito a proposito dell'esatta latitudine del Circolo Polare Artico: 66°33 o 66°34? Ognuno si è tuffato nei libri e nelle carte a bordo alla ricerca delle migliori argomentazioni. Abbiamo finalmente deciso di fermarci a 66°33 Nord. Anche se nessuna linea appare magicamente all'orizzonte, tuttavia questa latitudine corrisponde a un confine che non è affatto arbitrario: è la zona in cui il sole non tramonta mai almeno un giorno all’anno, durante il solstizio d'estate. Il numero di giorni polari quindi aumenta gradualmente andando sempre più nord.

Infine, il GPS visualizza la latitudine fatidica: 66°33 Nord. Sul ponte, il piccolo gruppo immortala l’istante su un cartello creato per l'occasione con le proprie mani. C’è da dire che attraversare questa linea invisibile, come quella dell'equatore, è sempre un traguardo simbolico per un’imbarcazione. Ma la dimensione simbolica è ancora più sentita in una spedizione come la nostra intorno all'Artico. Riattraverseremo questo confine solo fra cinque mesi, quando ci lasceremo alle spalle la Groenlandia per arrivare in Québec. Ma allora il passaggio sarà da nord a sud, e segnerà la fine del nostro periplo tra i ghiacci.

Yann Chavance

30.5.13

PRIMA TAPPA PER TARA

Una decina di giorni dopo la partenza da Lorient, Tara ha raggiunto la sua prima tappa giovedì mattina: le Isole Faroe*. Un breve interludio tra fiordi, uccelli marini e greggi di pecore prima di riprendere il largo verso altre stazioni di campionamento, ancora più a nord.

L.Bittner/Tara Expéditions
Dopo la prima lunga stazione dello scorso fine settimana, la situazione è un po’ precipitata. Una forte depressione è avanzata verso di noi, l'equipaggio è dovuto andar via senza indugio. Poche ore dopo la fine della stazione, i venti cominciavano a gonfiarsi. Per 48 ore, tra le onde che formano creste da quattro a cinque metri di altezza e raffiche di vento a 45 nodi, non era il caso di mettersi a fare ricerche scientifiche sul ponte. Tuttavia, non tutto il male viene per nuocere: Tara ha gonfiato le vele. Molto rapidamente, la goletta è stata in grado di lasciare la zona di depressione e, soprattutto, guadagnare un giorno di anticipo sul programma! Alla fine, vediamo apparire all'orizzonte le Isole Faroe un giorno prima. Il che significa passare un po' di tempo a Torshavn, la capitale di questo piccolo arcipelago perduto tra l'Irlanda e l'Islanda.

E così, dalle sei di stamani, l'equipaggio si è precipitato sul ponte per ammirare le alte falesie dell’arcipelago. Già ieri sera, il profilo delle isole spiccava dolorosamente all'orizzonte. Mentre il bel tempo ci aveva inondato di sole durante tutta la giornata, una coltre di nebbia era scesa su di noi, in pochi minuti, quasi a voler annunciare l’avvicinamento a queste terre aspre. Anche se le nebbie si sono dissipate all'alba, le nere falesie, l'assenza di alberi, la bassa vegetazione che copre tutto il loro manto marrone, tutto qui dà l'immagine di una terra cruda, dura. Alcune note di Vivaldi che uscivano dagli altoparlanti della timoneria rafforzavano questa impressione. Avvicinandoci alla piccola capitale, le falesie si fanno meno scoscese e le case dipinte di rosso, giallo o verde rinviano un’immagine più dolce di questo territorio in cui possiamo addentrarci per quasi due giorni.

Questa parentesi faroese è davvero breve, nonostante l'anticipo sul programma. Appena il tempo di prendere un assaggio della cultura faroese, fare passeggiate tra gli uccelli marini, dire addio a Lucy Bitner, lasciando il suo posto qui per Agnes Rougier, giornalista di RFI, e sarà già ora di partire. Domani sera salperemo di nuovo per riprendere la missione scientifica della spedizione, con due stazioni lunghe già pianificate prima della nostra prossima tappa, Tromsø, nella Norvegia settentrionale. Durante queste due settimane in mare, Tara oltrepasserà un traguardo simbolico per questa spedizione: il Circolo Polare Artico.

Yann Chavance


* Le Isole Faroe (o Fær Øer) sono un arcipelago situato tra il Mar di Norvegia e l'Oceano Atlantico, a metà strada tra la Scozia e l'Islanda. Esse formano un paese facente parte del Regno di Danimarca, insieme a Danimarca e Groenlandia, che copre 1.400 km2 e una popolazione di quasi 50.000 abitanti nel 2010.

GLI STRUMENTI DI TARA : la rosetta


Per gli scienziati, Tara Oceans Polar Circle rappresenta soprattutto un'occasione per completare il lavoro realizzato tra il 2009 e il 2012 durante la spedizione Tara Oceans. Per raccogliere il plancton e studiare l’ambiente in cui vive, Tara intraprende questa nuova spedizione con un ricco armamentario di strumenti. Inauguriamo questa nuova serie dedicata ai vari sensori e dispositivi di imaging e di campionamento presenti a bordo con la rosetta, uno dei fiori all’occhiello di Tara.

J.Girardot/Tara Expéditions

La rosetta di Tara è una gabbia in alluminio di 250 chili contenente dieci bottiglie di campionamento e una serie di sensori. Un assemblaggio che è stato appositamente progettato per soddisfare alcuni vincoli richiesti dal team di Tara. Vincoli tecnici, tra cui le dimensioni per consentire una messa in acqua in tutta sicurezza, ma anche vincoli scientifici, per soddisfare al meglio le esigenze del programma di ricerca. Dopo un primo utilizzo nell'autunno del 2009, poco dopo il lancio di Tara Oceans, la rosetta aveva già superato le 600 immersioni all'inizio di questa nuova spedizione nell'Artico.

Ma, concretamente, qual è il ruolo di questo curioso assemblaggio? La rosetta di Tara è principalmente uno strumento di campionamento, comprendente dieci bottiglie la cui chiusura è controllata a una data profondità. Immersa sott’acqua, fissata all’estremità di un cavo d'acciaio, la rosetta può così prelevare campioni d’acqua di mare ricca di migliaia di micro-organismi, a dieci diverse profondità nel corso di una singola immersione. Per recuperare grandi quantità di acqua, gli scienziati possono anche decidere di chiudere le dieci bottiglie alla stessa profondità, raccogliendo in una sola volta circa 96 litri di acqua di mare. Una volta risalita e depositata sul ponte posteriore, la rosetta è pronta per rilasciare i suoi preziosi campioni: il contenuto di ogni bottiglia viene conservato così com'è, oppure viene pompato attraverso un filtro che raccoglierà i microrganismi. Questa "pesca" di plancton potrà quindi essere studiata a terra.

Ma la rosetta di Tara non si limita al solo ruolo di campionamento. Studiare nuovi organismi non ha senso se non si tenta di collegare ogni specie al suo ambiente. I batteri prelevati vivono in ambienti ricchi di ossigeno? E questo piccolo crostaceo raccolto preferisce le zone più fredde? Per rispondere a queste domande e realizzare una vera e propria "carta d'identità" della massa d'acqua campionata, la rosetta è dotata di numerosi sensori che continuamente durante l'immersione rilevano parametri ottici, fisici e chimici diversi quali la salinità, la temperatura, il tasso di ossigeno o la fluorescenza. Infine, un sensore di immagini consente di visualizzare direttamente le particelle e gli organismi durante l’immersione, di quantificarne la presenza, o anche solo di identificarli. Questa è l'originalità della rosetta: la compresenza, in un unico strumento di ricerca, di strumenti adibiti alla raccolta di campioni e alla misurazione dei parametri ambientali e di imaging, in grado di arrivare fino a mille metri di profondità. Se la rosetta di Tara è da considerarsi uno strumento perfetto per lo studio del plancton, a bordo sono presenti molti altri strumenti che vanno a integrare l’analisi della ricchezza di dati che ogni immersione rivela.

Yann Chavance



Ingegnere presso il Laboratorio di Oceanologia di Villefranche-sur-Mer (CNRS / UPMC), Marc Picheral ha coordinato l'installazione della rosetta a bordo e ne segue il funzionamento.

28.5.13

Le tappe della spedizione Tara Oceans Polar Circle



- Tromsö (Norvegia), 13-21 giugno
- Murmansk (Russia) 24-29 giugno
- Dudinka (Russia) 26 luglio-1 agosto
- Franz Joseph (Russia) 07-09 agosto
- Pevek (Russia) 30 agosto - 03 settembre
- Tuktoyaktuk (Canada) 18-21 settembre
- Resolute (Canada), 01-05 ottobre
- Ilulissat (Canada), 15-20 ottobre
- Québec (Canada) 10-16 novembre
- Saint-Pierre e Miquelon 20-24 novembre
- Ritorno a Lorient 6 dicembre

16.5.13

QUALE MATERIALE SCIENTIFICO SARÀ PRESENTE A BORDO PER LA PROSSIMA SPEDIZIONE?


Rosette CTD. V.Hilaire/Tara Expeditions



Quale materiale scientifico sarà presente a bordo per la prossima spedizione?
Incontro con Marc Picheral e Celine Dimier, ingegneri scientifici.

Ingegnere al Laboratorio di Oceanologia di Villefranche-sur-Mer, Marc Picheral coordina l'installazione di una parte del materiale scientifico a bordo di Tara, in particolare tutto ciò che riguarda il "Dry Lab" (laboratorio secco). Ingegnere presso la stazione biologica di Roscoff, Céline Dimier, gestisce il cosiddetto “Web Lab” (laboratorio umido). Abbiamo rivolto loro alcune domande sul materiale presente a bordo per la spedizione "Tara Oceans Polar Circle".



Il materiale sarà presto a bordo di Tara. Oltre a quello che era già presente durante la spedizione Tara Oceans, cosa ci sarà in più?

Marc Picheral: In primo luogo, per quanto riguarda gli strumenti che saranno sul ponte, abbiamo apportato delle modifiche alla Rosetta – un dispositivo che va sott’acqua per prelevare campioni ed eseguire alcune misurazioni oceanografiche. Abbiamo aggiunto un sensore che ci permette di misurare la luce presente sott'acqua, un fattore importante per la fotosintesi. Abbiamo anche aggiunto un sensore (AQUAscat) che ci consente di calcolare, in un volume leggermente più importante dei sistemi ottici, i piccoli oggetti sospesi in acqua come il plancton o alcune particelle.

Céline Dimier: Nel mio caso, vale a dire nel Wet Lab situato all'esterno, il materiale è essenzialmente lo stesso e consiste principalmente di pompe di dimensioni e tipi diversi (pompa ad aria, ad acqua, peristaltica, ecc.) e di unità di filtraggio di tutti i tipi (25 mm, 47 mm, 142 mm, treppiedi, rampa di filtraggio, ecc.). Con Steffi Kandels-Lewis (ingegnere addetto alla logistica) dobbiamo anche calcolare, sulla base del piano di campionamento, la quantità di tubi, flaconi, filtri, scatole, ecc. necessaria per i 6 mesi di missione. E poi dobbiamo calcolare il volume richiesto per memorizzare questi campioni in funzione della loro temperatura di conservazione: RT (temperatura ambiente), 4°C (frigorifero), -20°C (freezer), -196°C (azoto liquido). Tutte le apparecchiature servono a raccogliere campioni di batteri, virus, protisti, sia per l'analisi genomica sia per quella microscopica.

Verranno aggiunti altri strumenti a questa lista?

Marc Picheral: Utilizzeremo uno strumento che ci consentirà di registrare il plancton nel tratto di mare da Murmansk a St. Pierre e Miquelon. Si tratta di uno strumento utilizzato da decenni, soprattutto nel Nord Atlantico, e che viene trainato da navi commerciali che prelevano plancton su rotoli di seta, in modo continuo. Si tratta davvero di una novità per Tara.

Inoltre, abbiamo un sensore ottico che ci consente di fare un’analisi dettagliata dell’illuminazione solare e che sarà sostituito dal COPS (Compact-Optical Profiling System),  un sensore in qualche modo simile ma che può scendere fino a 100-150 metri sott’acqua. Questo ci permetterà di analizzare in dettaglio l'illuminazione verso il basso e viceversa.

Avete apportato dei cambiamenti anche al Dry Lab all'interno della barca?

Marc Picheral: Sì, aggiungeremo alcuni sensori di luce funzionanti 24 ore su 24, che saranno collegati ai dispositivi del Dry Lab e alla stiva a prua.

Ci saranno due sensori CDOM (Colored Dissolved Organic Material) sempre attivi, di cui uno che permette di dosare con più precisione il CDOM prelevato dalle bottigliette della Rosetta e di prelevare campioni in profondità.

Avremo nuovi sensori che saranno collocati nella stiva a prua, ma controllati dal Dry Lab. L’ALFA (Aquatic Laser Fluorescence Analyser), un sensore ottico, e il FlowCytoBot, un sensore di imaging che consente di identificare i microrganismi. E anche un altro tipo di sensore, il SeaFet, un sensore di pH molto utile in quanto sappiamo che il pH varia con il cambiamento climatico.

Cosa contate di fare per proteggere l'attrezzatura dal freddo?

Céline Dimier: Dobbiamo adattare la barca alle condizioni polari. Ciò comporta dotare il laboratorio di un sistema di riscaldamento, mettere al riparo le tubazioni per evitare il congelamento dell'acqua. Si deve inoltre verificare che i contenitori siano resistenti al freddo (non sempre è possibile e dipende dalla plastica utilizzata). Il dispositivo ad acqua ultra pura sarà dotato di una cartuccia che opera anche con acqua molto fredda (5°C). Dobbiamo inoltre garantire che i prodotti chimici utilizzati siano in grado di sopportare temperature molto basse e che non si verifichino casi di polimerizzazione.

Marc Picheral: Alcuni sensori resistono molto bene al freddo, altri non tollerano il congelamento. E così li riscaldiamo: mettiamo dei teloni, delle termocoperte, dei sistemi ad acqua calda per riscaldare i sensori quando sono fuori dall'acqua.

A ogni modo, il problema non è tanto il freddo, ma la condensazione. Si può avere dell'acqua in superficie nella regione artica a -2°C e passare subito ad ambienti con 20°C e in quel caso si ha condensazione e con gli strumenti ottici è un problema perché non si riesce più a vedere nulla. Li disporremmo a prua anziché tenerli dentro. Questo è il problema maggiore.

Intervista a cura di Anne Recoules


3.5.13

IL TOUR DELL’ARTICO È PARTITO!

Più di un anno dopo la fine di Tara Oceans, la spedizione precedente, Tara ha finalmente preso di nuovo il largo. Domenica 19 maggio, nel pomeriggio, la goletta ha salpato le ancore da Lorient per iniziare una spedizione intorno all'Artico di quasi sette mesi. È il calcio d'inizio di Tara Oceans Polar Circle.

Tutti i marinai e gli scienziati a bordo hanno atteso questo momento per settimane, persino mesi. Alle 15, davanti a una folla di curiosi e amici provenienti da tutta la Francia, Tara ha lasciato il porto di Lorient. La barca ritornerà al porto d’origine a dicembre. Nel frattempo, Tara e il suo equipaggio avranno percorso 25 mila chilometri intorno al Polo Nord, costeggiando prima le coste russe e poi quelle americane.

Ma Tara non ha iniziato il suo viaggio da sola. Intorno alla goletta, decine di barche, dai più piccoli gommoni Zodiac ai più grandi velieri, scortano simbolicamente Tara in questa nuova avventura scientifica. Sul ponte, una ventina di persone ci accompagnano: sono i giornalisti, il team di Tara a terra, il prossimo equipaggio e altri amici. Man mano che prendiamo il largo, le barche si fanno meno numerose.

Arrivati ​​all’isola di Groix, al largo di Lorient, Tara è pronta per la cerimonia tradizionale del battesimo amministrato dal prete dell'isola. E si riparte di nuovo per la seconda volta: i nostri accompagnatori si stringono l’uno all’altro sui gommoni, fino a che rimaniamo in quattordici a bordo. Quattordici persone che condivideranno due settimane di vita in mare prima dell’arrivo alle Isole Fær Øer, la nostra prima tappa.

12.4.13

APPELLO DI PARIGI PER L’ALTO MARE

lahautemer.org/en/

Oltre l'orizzonte, là dove nessun stato è più sovrano, si estende l’Alto Mare. Questa grande area, che ricopre la metà del pianeta, ci è meno nota della superficie della Luna. Tuttavia, non potremmo vivere senza. Essa ci nutre, ci dà la metà dell’ossigeno di cui abbiamo bisogno, mantiene in equilibrio il nostro clima, trattiene la maggior parte delle emissioni di gas serra, permette quasi tutti gli scambi di merci. Ha ispirato poeti e fatto sognare i nostri figli. Se appartenesse a una nazione sarebbe apprezzata come un tesoro, ma l’Alto Mare non appartiene a nessuno, deve essere gestito nell'interesse pubblico come un «bene comune dell’umanità»: uno statuto parzialmente acquisito nel 1982 a Montego Bay, in Giamaica, dove vennero definiti un ambito, delle regole e un'autorità per lo sfruttamento del suolo e del sottosuolo marino, ma non della colonna d'acqua. Con la Convenzione sul diritto del mare, le Nazioni Unite hanno compiuto un passo importante, necessario, per una governance pacifica del mare. Trent’anni dopo, però, abbiamo capito che il passo che è stato fatto è stato insufficiente, tant’è che non è ancora stata raggiunta una protezione efficace per preservare un gioiello di cui ne scopriamo la ricchezza giorno dopo giorno.




Oggi, l’Alto Mare è in parte diventato un luogo d’illegalità, le cui risorse vengono saccheggiate nelle sue profondità più intime, vittima dell'inquinamento diffuso nei mari più lontani e preda di traffici. L’immensità marina deperisce, la vita vi avvizzisce, l’emergenza è alle porte ancor prima che si debba pagare il prezzo dell'indifferenza. Eppure vi è speranza: tutta la società civile si mobilita e, con essa, le nazioni. Esistono soluzioni. Si è deciso che per il 2013, entro e non oltre l'autunno del 2014, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ai sensi della Convenzione sul diritto del mare, avvierà dei negoziati per ottenere l'adesione di uno strumento internazionale per la protezione della biodiversità in Alto Mare. Tuttavia, permane una certa riluttanza che pone dei freni all’azione.
Consapevoli che solo un governo internazionale condiviso, trasparente e democratico consentirà la salvaguardia e la gestione sostenibile del patrimonio di questo bene comune unico, Noi, i firmatari dell'Appello di Parigi per l'Alto Mare dichiariamo quanto segue:

- Ci impegniamo a mobilitare tutte le forze della società civile per fare pressione sui nostri governi, i partner economici e le organizzazioni interessate affinché raggiungano un accordo ambizioso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2014;
- Chiediamo che all'Assemblea Generale sia conferito un mandato chiaro affinché le trattative tengano conto al contempo dei seguenti punti: la conservazione degli ecosistemi in Alto Mare, l’accesso e la condivisione dei benefici legati allo sfruttamento delle risorse genetiche marine, le aree marine protette, le valutazioni relative all’impatto sull'ambiente, il supporto alla ricerca e il trasferimento di tecnologie marine;
- Proponiamo che l'Autorità internazionale dei fondi marini venga coinvolta nella gestione delle risorse in Alto Mare, in particolare delle risorse genetiche marine, conferendole i mezzi necessari per esercitare le sue missioni in modo operativo;
- Ricordiamo il rispetto degli obiettivi – da attuare prima del 2020 – riguardanti il 10% degli oceani da considerarsi come aree protette marine in base agli accordi presi a Nagoya nel 2010, nell'ambito della Convenzione sulla diversità biologica;
- Ci auguriamo che la società civile appoggi pienamente i processi internazionali che regolano l'utilizzo e la governance dell’Alto Mare.


Nell’ambito di tali risoluzioni, noi affermiamo che l'Alto Mare non è una questione che riguarda solo specialisti e professionisti, ma è fondamentale per la sopravvivenza di tutta l'umanità e riguarda tutti noi. Con profondo senso di gravità, fiducia e determinazione, noi crediamo che sia il luogo evidente per una co-costruzione pacifica ed esemplare degli Stati, i quali devono proporre alle generazioni future un’«economia blu» innovativa, basata sul rispetto degli ecosistemi e dei diritti umani. Rifondare il rapporto tra gli uomini e l’Alto Mare è un contributo essenziale allo sviluppo umano, così come alla resilienza del pianeta e del suo clima. Si tratta di un obiettivo urgente e scottante a cui ambiamo.

Dall’oceano viene la vita; è un oceano che pulsa di vita quello che noi desideriamo lasciare in eredità ai nostri figli.

Firma anche tu : lahautemer.org/en/