29.8.13

Una sosta difficile nel mare di Laptev

Nonostante le avverse condizioni meteorologiche,
gli scienziati hanno messo in salvo i campioni raccolti. Anna Deniaud/Tara Expéditions



Le condizioni meteorologiche hanno paralizzato i prelievi dell’ultima sosta. In poche ore il mare di Laptev si è trasformato in un vero e proprio campo di battaglia, disseminato di lastroni di ghiaccio alla deriva. Fortunatamente, gli scienziati hanno fatto in tempo a raccogliere i campioni più richiesti.


"È stata una lotta ma anche una vittoria per ogni campione da salvare!", rammenta Margaux Carmichael, responsabile dei campioni di protisti e vittima del mal di mare. "È stato faticoso, soprattutto il secondo giorno, il mare era molto agitato. Mi ricorderò sempre tutto il via vai tra congelatore e frigo a prua, ma sono felice di aver portato a termine il lavoro in una delle aree che più ci interessano in questo tratto" conclude Pascal Hingamp.

Il bacino di Nansen, la zona in cui sostavamo, è una regione profonda dell’Artico, accessibile in estate per via marittima, con profondità fino a 1.200 metri. Il primo giorno, la rosetta CTD è stata calata a 1.000 metri. Il secondo giorno, a 300 metri, nella zona mesopelagica. A questa profondità, si incontrano le masse d’acqua originarie del mare di Barents e quelle atlantiche.

Tuttavia, al termine della seconda mattinata, abbiamo dovuto interrompere le operazioni di campionamento. Nel primo pomeriggio raffiche di vento oltre i 35 nodi e onde alte fino a 5 metri ci hanno costretto a fare rotta verso est, verso Pevek. Esausti, e qualcuno anche in preda al mal di mare, i membri dell’equipaggio avevano l’aspetto dei superstiti della “zattera della Medusa”.

Sfortunatamente, la notte non ci ha dato tregua. Gli utensili in cucina, gli strumenti nel laboratorio, i quadri nel corridoio, tutto si era accordato per accompagnare il canto lugubre dei cigolii della barca. Rintanati nelle nostre cuccette, aspettiamo che l’infernale acquemoto cessi al più presto. Ma la nostra richiesta non viene ascoltata dal mare di Laptev e la colazione di stamani è stata poco allegra. Domani sarà un altro giorno.... Speriamo che il mare sia un po’ più clemente nei nostri confronti.



Tara in piena tempesta nel mare di Laptev - F.Aurat/Tara Expeditions

26.8.13

Tara ha superato il Passaggio di Nord-Est



Sul tagliamare ore e ore per comunicare al pilota la posizione del ghiaccio. 
A.Deniaud/Tara Expéditions




Dopo 45 ore di difficile navigazione nello stretto di Vilkitski in un mare ricoperto per il 60 % da banchisa, Tara ha doppiato il Capo Čeljuskin, punto settentrionale dell’Asia e punto strategico del Passaggio di Nord-Est. Era la mezzanotte (ora francese) tra domenica e lunedì, la nebbia fitta e Tara era la prima imbarcazione a superare il passaggio quest’anno, senza il supporto di un rompighiaccio.

Nonostante le condizioni meteo buone e la luce costante che avvolge l’Artico in questo periodo dell’anno, l’equipaggio e il suo capitano Loïc Vallette sono stati messi a dura prova per due giorni di seguito dalle condizioni estreme di navigazione in un vero e proprio labirinto di ghiacci. Per due ore, con un walkie-talkie alla mano, l’equipaggio ha vigilato il tagliamare dell’imbarcazione, salendo anche sull’albero, per comunicare al pilota le posizioni del nostro nemico, il ghiaccio.

Rimane ancora molta banchisa da superare e il vento si sta sollevando, ma domani effettueremo una sosta scientifica. Il peggio sembra essere passato, la spedizione riprende il suo corso dopo una lunga settimana di attesa all’imboccatura dello stretto di Vilkitski.

Il prossimo scalo previsto è a Pevek, il 5 settembre.

Questo fine settimana si è svolta una tappa importante della spedizione e tutto l’equipaggio ha ricevuto una lezione di umiltà dall’Artico. Tara ora prosegue la circumnavigazione del Mar Glaciale Artico di 25.000 chilometri a scopo scientifico e pedagogico. Alla fine del mese di settembre sarà la volta del passaggio di Nord-Ovest, nel Grande Nord canadese, ma la finestra temporale per effettuare il passaggio prima che il ghiaccio si riformi è molto breve.

Sul sito Tara Live Arctique, sono disponibili i video del passaggio:  
www.france3.fr/evenements/expedition-tara-arctique-thalassa

25.8.13

Aggiornamento sulla situazione al 25 agosto

In mezzo ai ghiacci. Copyright : A.Deniaud/Tara Expéditions


Da due giorni Tara sta tentando di superare lo stretto di Vilkitski bloccato da una fascia molto densa di ghiaccio. La goletta ha già percorso circa 440 chilometri in più di 36 ore. Rimangono 70 chilometri (40 miglia nautiche) di navigazione difficile per doppiare il Capo Čeljuskin.


Come previsto la notte tra sabato e domenica è stata difficile perché Tara ha avanzato zigzagando nella banchisa che al momento ricopre il 60% della superficie marina.

Le condizioni meteo sono buone con un lieve vento da est. La luce costante del giorno perpetuo facilita l’avanzamento anche se l’equipaggio è fortemente provato dalle condizioni estreme della navigazione: c’è sempre un uomo alla barra del timone, uno a prua e spesso anche uno sull’albero. La temperatura dell’aria e dell’acqua è di circa 2°C.

Se domani Tara riesce a doppiare il Capo Čeljuskin, sarà la prima imbarcazione quest’anno a percorrere il Passaggio di Nord-Est senza il supporto di un rompighiaccio, insieme a un'altra imbarcazione polacca di 14 metri che si trova in zona.

Nei prossimi giorni, dopo aver superato lo stretto, decideremo quali saranno le nostre prossime soste scientifiche. Il prossimo scalo previsto della spedizione Tara Oceans Polar Circle è Pevek, nell’estremo nord-est della Russia.

24.8.13

Aggiornamento sulla situazione al 24 agosto



Yohann Mucherie al comando di Tara.
Copyright: A.Deniaud/Tara Expéditions




Da più di 12 ore Tara avanza in solitudine fra le acque libere e la banchisa che ricopre tra il 10 e il 30% della superficie del mare. L’imbarcazione procede con una media di 6 nodi e ha percorso quasi 150 km da quando ha levato le ancore. Le condizioni meteo sono buone, con un vento debole di nordest. La luce costante del giorno perpetuo facilita l’avanzamento.

Alla luce dei recenti dati satellitari, i prossimi 100 km saranno più difficili e quindi procederemo molto più lentamente perché la densità del ghiaccio prevista è del 50%. Il rompighiaccio Taymir incrociato stamani ci aveva annunciato un 60%, ma si era detto ottimista per Tara.

Siamo nel cuore della spedizione con il suo carico di dubbi, rischi e decisioni da prendere. Avanzare a tutti i costi verso nord-est, è questo ciò che sta a cuore a tutto l'equipaggio, al capitano e a tutta l’équipe, anche se è sempre possibile tornare indietro se ci dovessimo trovare di fronte a un muro di ghiaccio invalicabile.

23.8.13

Aggiornamento sulla situazione al 23 agosto


Tara nell'Artico. Anna Deniaud/Tara Expéditions


Da otto giorni Tara è in attesa di poter superare lo stretto di Vilkitski (Russia) bloccato dai ghiacci e di doppiare Capo Čeljuskin, punta settentrionale dell’Asia e punto strategico del Passaggio di Nord-Est.


Fino a pochi giorni fa il ghiaccio era particolarmente denso lungo una fascia di 400 chilometri di lunghezza nello stretto, ma nelle analisi satellitari russe e tedesche ricevute in giornata si apre in modo significativo risultando meno compatto.

Non è previsto l’intervento di nessun rompighiaccio nelle prossime 48 ore. Anziché attendere, il capitano di Tara, Loic Vallette, in accordo con Romain Troublé, segretario generale di Tara, ha deciso di provare ad aprirsi un varco nello stretto da domani mattina per farsi un’idea più precisa delle condizioni. L’obiettivo è quello di doppiare il capo, ma sarà sempre possibile tornare indietro se la banchisa permane insormontabile.

Le condizioni meteorologiche sono buone, un anticiclone si è installato  in modo stabile sulla zona.  Il giorno perpetuo facilita l’avanzamento attraverso la banchisa frantumata.

Se il ghiaccio lo consente, la traversata di questa zona di 400 chilometri dovrebbe durare circa 3 giorni.

Al momento la spedizione Tara Oceans Polar Circle ha un ritardo di otto giorni. Il prossimo scalo previsto è Pevek, nell’estremo nord-est della Russia.

20.8.13

Tara e il passaggio di Nord-Est

Punto A: Capo Čeljuskin







Lo scorso 15 agosto Tara avrebbe dovuto imboccare lo stretto di Vilkinsky (Russia) e passare il famoso Capo Čeljuskin (punto A sulla mappa), punto settentrionale dell’Asia e punto strategico del passaggio di Nord-Est. Ma così non è stato.



Questo stretto è strategico perché anno dopo anno il ghiaccio ne ostacola il passaggio in modo casuale. Quest'anno il ghiaccio è presente lungo una striscia di 400 miglia ed è particolarmente denso in questo punto tant’è che Tara non è in grado di farcela da sola. Da cinque giorni siamo fermi davanti al "tappo" di ghiaccio, in attesa di vedere gli sviluppi.



L'ipotesi di scioglimento completo del ghiaccio nello stretto di Vilkinsky appare ora alquanto improbabile, e la goletta non passerà senza l’intervento di un rompighiaccio russo e l'esperienza del proprio equipaggio. Il rompighiaccio Yamal che è in zona potrebbe fare da apripista a noi e a molte altre imbarcazioni di dimensioni simili che come noi sono qui in attesa di passare.



La spedizione Tara Oceans Polar Circle subirà quindi qualche giorno di ritardo, in questa fase, ma senza conseguenze per il futuro. Una parte del programma scientifico sarà probabilmente ridotto per poter raggiungere Pevek, la nostra prossima tappa, e continuare la missione in Canada. Restate sintonizzati.



La pazienza è la prima qualità degli esploratori polari…

Aggiornamento



Tara è agli ormeggi in attesa di poter attraversare lo stretto di Vilkitsky bloccato dai ghiacci. 
Posizione attuale: 75°30 N 87°30 E



Guarda la diretta video : Tara Live Arctique

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19.8.13

Incontri polari


Diretti verso lo stretto di Vilkinsky, incrociamo un'orsa con i suoi piccoli.

Opération vidéo Tara Live Arctique. Anna Deniaud/ francetv nouvelles écritures/ Thalassa/ Tara Expéditions

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16.8.13

L’oceanografa Diana Ruiz Pino racconta la prima lunga sosta tra i ghiacci.


Diana Ruiz Pino, oceanografa. Anna Deniaud/Tara Expéditions



Come è andata la prima lunga sosta tra i ghiacci?

È stata una giornata intensa, perché durante le soste lunghe devo prelevare acqua di mare per l’analisi di undici parametri diversi: il carbonio organico disciolto (DOC), il CO2, il mercurio, i fattori nutritivi, i pigmenti… Ogni campione richiede specifiche precauzioni per non essere contaminato. La materia organica, ad esempio, può essere inquinata dalla nostra presenza, dal contatto con la pelle, ed è per questo che indossiamo guanti e usiamo pinze. Un’altra complessità che si annida nel mio lavoro è l’utilizzo degli acidi. Bisogna essere prudenti e precisi. E non è sempre facile per via del movimento dell’imbarcazione. Sono state lunghe ore di attenzione perché il minimo errore rischia di compromettere il campione.


Quali sono i primi dati che ci puoi rivelare sulla zona campionata?

In queste acque abbiamo osservato le caratteristiche proprie dell’Artico. Innanzitutto, l’inversione del profilo delle temperature, ossia il fatto che l’acqua di superficie è meno fredda di quella in profondità, contrariamente a quanto avviene negli oceani. C’erano -1,7°C in superficie e -1,4°C in profondità. Ciò è dovuto al raffreddamento delle acque di superficie per opera del ghiaccio e della temperatura dell’aria.

In secondo luogo, la salinità è ridotta in superficie e aumenta in modo netto in profondità, a causa dello scioglimento del ghiaccio marino.  Dai 32 in superficie, la salinità passa a 34, e ciò avviene in meno di cinque metri! Questa zona denominata aloclino in estate riduce gli scambi di masse d’acqua tra lo strato illuminato della superficie e le profondità marine. Al contrario, in inverno, nel periodo di formazione della banchisa, il sale viene espulso dall’acqua di mare per formare il ghiaccio. Tale fenomeno comporta il mescolamento in verticale delle masse d’acqua, facilitando la risalita dei fattori nutritivi in superficie. Durante l’inverno, in mancanza di luce per la fotosintesi, i fattori nutritivi verranno consumati in quantità molto ridotte. In estate, quando la banchisa si scioglie, il fitoplancton ritrova un mare ricco e inondato di luce, due condizioni essenziali alla sua crescita: è il momento della fioritura oceanica! (il bloom)

Questa esplosione di vita l’abbiamo osservata durante la sosta nel mare di Kara. I campioni erano molto densi e colorati, una vera e propria zuppa di fitoplancton! Il nostro obiettivo era effettuare prelievi in una zona che in inglese si chiama “ice-edge”. L’ice-edge è una zona molto produttiva in cui si mescolano banchisa, ghiaccio sciolto e acqua di mare.  La zona è individuabile a occhio nudo: un mare a macchia d’olio, un ghiaccio giovane e fisso, che ricopre il 50% della superficie. Ecco perché la pesca è stata miracolosa!


Oltre alle ricerche sul plancton condotte durante la spedizione Tara Oceans, quali altri parametri verranno studiati nel corso di questa spedizione nell’Artico?

Al progetto biologico di Tara Oceans sulla tassonomia, la morfologia e la genetica del plancton, si aggiungono degli obiettivi specifici dell’Artico che evidentemente sono l’impatto del ghiaccio e del suo scioglimento accelerato sul plancton, e il futuro del diossido di carbonio (CO2) a causa dell’attività umana. L’Artico, si sa, è un vero e proprio  pozzo di CO2 atmosferico. Cerchiamo di scoprire se la sua presenza aumenta o diminuisce con l’industrializzazione, e per quali motivi. A tal fine, prelevo dei campioni per determinare gli isotopi dell’ossigeno e del carbonio. Questi dati ci consentiranno immediatamente di definire le loro origini. Sono due le ipotesi principali sulla provenienza del carbonio. Primo, il ghiaccio marino si scioglie a causa del surriscaldamento climatico e lascia penetrare il CO2 dell’atmosfera. L’altra importante fonte di carbonio proviene dallo scioglimento dei ghiacciai continentali.  Queste masse d’acqua dolce trasportano, attraverso i fiumi, il carbonio del permafrost. Le ultime scoperte rivelano un aumento della quantità di carbonio nell’oceano Artico. Per completare la ricerca sul CO2, a bordo di Tara abbiamo due apparecchi, il CO2Pro e il Seafet, che rispettivamente misurano di continuo la quantità di CO2 e il pH del mare. Il pH è l’indicatore dell’acidificazione di queste acque fredde, un meccanismo chimico provocato dalla infiltrazione del CO2 industriale nel mare.  Lavoro a questo programma con due laboratori, quello a Vigo in Spagna e quello a Villefranche-sur-mer.


Il ghiaccio è ancora presente all’altezza di Capo Čeljuskin, e al momento blocca il passaggio di Tara, è una buona notizia di cui possiamo essere contenti? È un segno del rallentamento dello scioglimento?

Se il ghiaccio rimane compatto nello stretto di Vilkinsky non vuol dire che lo scioglimento è stato meno importante in tutto la zona artica. Vi  sono variabili locali, regionali e naturali che non dobbiamo trascurare. E c’è da dire che se l’atmosfera scatena lo scioglimento dei ghiacci a causa del vento e dell’aumento delle temperature, anche l’oceano gioca un ruolo in tutto ciò in quanto preserverebbe ed accelererebbe il processo dello scioglimento. Ma il meccanismo di funzionamento di questa grande macchina termica che è l’oceano e il suo impatto sullo scioglimento conserva ancora molte zone d’ombra. In ogni caso mi auguro che le misurazioni effettuate dal team  di Tara, andranno ad arricchire le nostre banche dati e consentiranno di confermare o di invalidare i modelli di previsione del GIEC, gruppo internazionale di esperti sul clima, che ha già annunciato la scomparsa totale del ghiaccio marino nel periodo  estivo  nel prossimo decennio. Nel 2012 abbiamo raggiunto il record di scioglimento, ma quale sarà lo stato del ghiaccio alla fine dell’estate del 2013?


Anna Deniaud Garcia


15.8.13

Di fronte a un muro di ghiaccio

Tara tra i ghiacci. Copyright: A.Deniaud/Tara Expéditions




Lo stretto di Vilkitski è bloccato: da quattro giorni questo è il leitmotiv a bordo di Tara E le mappe del ghiaccio ce ne danno conferma. Tara non potrà attraversare il Passaggio di Nord-Ovest nei prossimi giorni. Dobbiamo essere pazienti, saper apprezzare il vento che ci regala un’ottima navigazione a vela, imparare a essere flessibili e rivedere costantemente il programma scientifico. Di fronte a questo muro di ghiaccio, navighiamo verso l'ignoto.

Sergey Pisarev, lo scienziato russo a bordo di Tara, ci dice che nemmeno le grandi navi riescono a passare in simili condizioni. Nello stretto di Vilkitski, che collega il mare di Kara e il mare di Laptev, i blocchi di ghiaccio raggiungono spessori di tre metri. Solo un rompighiaccio russo riuscirebbe a farcela. «L’uomo crede di poter controllare tutto, ma nell’Artico la natura dimostra di essere ancora lei la padrona», afferma Diana Ruiz Pino, scienziata a bordo in questo tratto di spedizione e abituale presenza nelle campagne oceanografiche polari. In effetti, dopo il passaggio nel 2011 della nave petroliera “Vladimir Tikhonov”, la più grande della storia ad aver raggiunto l’Atlantico e il Pacifico passando a nord, e di altre ventisei navi che la seguirono lo stesso anno, sembrava che la rotta marittima del nord, fosse un itinerario ormai conquistato e che il futuro avrebbe garantito agli armatori notevoli risparmi di carburante e meno rischi di attacchi da parte dei pirati nel golfo di Aden.

Capo Čeljuskin è ancora circondato dai ghiacci e non ci resta che attendere. Gli orsi polari che abbiamo incontrato potranno godersi qualche anno di tranquillità. Il mitico passaggio di Nord-Est, sogno di molti navigatori, non si è ancora trasformato in un’autostrada marittima… 

Adolf Erik Nordenskjöld, il barone svedese che per primo ha unito l’Atlantico e il Pacifico passando per le coste siberiane nel luglio del 1879, a bordo della Vega, dopo 10 mesi trascorsi con il popolo dei Ciukci, può stare tranquillo. Bisognerà attendere quarant’anni per un secondo tentativo da parte di Roald Amundsen. E nel 1935, la spedizione sovietica condotta dal professore Otto Schmidt percorrerà per la prima volta il Passaggio di Nord-Est, senza necessità di ibernare. 

Ripensando al passato e di fronte a un simile muro di ghiaccio, il nostro tentativo di fare il giro del circolo polare in barca a vela nel corso di un’estate, ci appare per quello che realmente è: una prodezza unica!


Anna Deniaud Garcia

12.8.13

Gli uccelli di Tikhaya

La falesia degli uccelli. Anna Deniaud/Tara Expéditions




Sul lato sinistro di Tara, delle baracche di legno malmesse si trovano disseminate sulla riva. A dritta, si innalza una falesia. Da lontano, non è altro che una semplice falesia di colore marrone grigio ricoperta di licheni verdi e arancioni, indubbiamente bellissimi ma comuni in questa regione. Tuttavia, man mano che la goletta si avvicina alla roccia, si levano in aria dei pigolii. Binocoli alla mano, smascheriamo gli autori di questa cacofonia. Migliaia di uccelli si annidano in stretti dirupi rocciosi. Qui, a Tikhaya, ogni primavera i pinguini e i gabbiani tornano nella propria colonia di riproduzione. Vi permangono tutta l’estate, fino a che la loro progenie è pronta per volare via con le proprie ali. 

“Ho notato sei specie!”, esclama Vincent Le Pennec, capitano in seconda e appassionato di ornitologia. Sulla falesia di fronte a noi, ci sono dei fulmari, un tipo di procellarie polari, delle urie nere e delle urie di Brünnich , due specie di alcidi delle 22 esistenti, dei gabbiani, dei gabbiani tridattili e dei gabbiani d’avorio, e infine delle gazze marine minori, un uccello appartenente anch’esso alla famiglia degli Alcidi, come le urie. Ed è proprio per saperne di più su questa gazza marina minore, per studiare il suo stile di vita e le sue migrazioni, che Jérôme Fort, ecologo marino, e David Gremillet, biologo marino, sono venuti a trascorrere il mese di agosto presso la base di Tikhaya.

Tikhaya è stata la prima stazione metereologica polare fondata dai sovietici nel 1929; per vent’anni gli scienziati si sono dati il cambio sulla riva dell’isola di Guker. Oggi permangono alcuni resti di quell’epoca: due carcasse di aerei, una culla, vecchie pellicole di film… e poi ancora, baracche di legno, alcune malandate, altre rimesse a nuovo. Ed è in una di queste baracche rinnovate che soggiornano i nostri due scienziati francesi.

La loro missione ha ottenuto l’appoggio dell’ Istituto polare francese, l’IPEV (Institut Paul Emile Victor). Qui, sotto la sorveglianza di una guardia armata, in compagnia degli orsi che si aggirano nei paraggi, Jérôme et David studiano i pulcini, l’alimentazione che i loro genitori gli portano, fanno prelievi di sangue e prendono campioni di piume o penne. Applicano dei geolocalizzatori sugli uccelli marini e dei registratori di pressione per studiare il loro comportamento.

Piccolo uccello bianco e nero, misura tra 21 e 26 centimetri, la gazza marina minore è una delle specie di uccelli marini più abbondanti del mondo. La popolazione mondiale oscilla tra i 40 e gli 80 milioni di individui. Il volatile è anche un eccellente subacqueo. “ Qui possono immergersi anche sei cento volte al giorno per più di venti metri di profondità. In Groenlandia, i nostri colleghi hanno osservato immersioni fino a 50 metri”, dice Jérôme. Questo studio sulla gazza marina minore non è limitato alla regione dell'arcipelago Francesco Giuseppe. In Groenlandia e nello Spitsberg, gli scienziati russi e norvegesi eseguono gli stessi protocolli.

Talvolta ricevono la visita inaspettata di gruppi di turisti. Anche su questo pezzo di terra così isolata dal resto del mondo, non si riesce a dormire in pace! Gli uomini non sono le uniche vittime dei flash delle macchine fotografiche, anche gli uccelli soffrono per via di questa intrusione. Ogni estate, da tre a otto navi rompighiaccio si accostano all'isola di Guker e riversano anche più di centocinquanta turisti alla volta. Ad oggi, la zona è accessibile solo ai ricchi, ma le guardie locali stanno già preparando delle strade in previsione del futuro sviluppo del turismo in queste zone.

Anna Deniaud Garcia

Bibliografia:
Les animaux des pôles di Fabrice Genevois
Guide des oiseaux de mer di Gerald Tuck e Hermann Heinzel

11.8.13

Il gioiello dell’Artico


L'équipaggio di Tara sul Sealegs. Anna Deniaud/Tara Expéditions





Non avevamo visto niente, o quasi. Come per pudore, al nostro primo incontro, l’arcipelago russo di Francesco Giuseppe si era presentato sotto un velo di nebbia occultando la sua bellezza. La base di Nagurskaya, nell’isola di Alessandra, sede di un parco naturale,  ne è la riprova. Forse è necessario, come abbiamo fatto anche noi, simpatizzare con le guardie della riserva naturale per riuscire ad aprire le porte di questo meraviglioso mondo. Come per incanto, il sole è apparso e il gioiello dell’Artico è brillato davanti ai nostri occhi in tutto il suo splendore, con i suoi ghiacciai vertiginosi, i maestosi orsi polari e i suoi cieli sublimi.

Tutto è cominciato a bordo di un gommone Zodiac sul quale abbiamo proseguito la visita dell’isola insieme alla guida del parco naturale,  poiché la visita via terra non aveva appagato la nostra sete di scoperte. Dopo aver aggirato alcuni iceberg, i nostri sguardi si sono rivolti verso un punto luminoso all’orizzonte. Un raggio di sole attraversa la spessa coltre di nubi e inonda generosamente la falesia di un ghiacciaio. Indichiamo il nostro obiettivo lontano, ma non facciamo in tempo a rimettere a posto le macchine fotografiche e a rimetterci i guanti che il gommone riparte a tutta birra. La velocità e il freddo pungente ci fanno quasi pentire del nostro capriccio. Ma poco a poco il punto luminoso prende forma e un’immensa e scoscesa falesia di ghiaccio bagnata dai raggi del sole si presenta davanti a noi. Deve misurare cento metri di altezza. Ai piedi di questa monumentale opera della natura siamo ridicolmente piccoli.  Quanti anni ci sono voluti per creare questo gigante di ghiaccio? I ghiacciai nascono dall’accumulo di cristalli di neve. Poi, con il contatto con l’acqua marina, il sole, le tensioni meccaniche delle masse di ghiaccio, si formano dei crepacci che liberano giganteschi blocchi di ghiaccio: gli iceberg. Lo spettacolo è grandioso, di una bellezza quasi indescrivibile.

Era solo l’inizio di un’avventura indimenticabile. Nelle primissime ore del mattino Tara ha lasciato l’isola di Alessandra per avvicinarsi alle altre isole. Mentre costeggiamo i ghiacciai avvistiamo un orso polare che, nonostante le imponenti dimensioni, ci appare come un minuscolo punto giallognolo in mezzo all’immensità bianca. Il colore giallognolo lo si deve alla presenza di microscopiche alghe che intrappolate in piccole bolle d’acqua si aggrappano al pelo dell’animale.

I lastroni di ghiaccio che galleggiano sul mare sembrano dei diamanti sotto la luce del sole. Tara prosegue la sua rotta giocando a nascondino tra gli iceberg che via via incrocia.  Sculture effimere dalle forme così varie. Arte cubista o stile barocco? I  generi e le epoche si mescolano in questa esposizione marittima. Quasi per gelosia, il cielo e la terra tentano di rivaleggiare con queste meraviglie di ghiaccio. Il cielo spiega delle nubi lenticolari, nuvole bianche di forma ovale. La terra esibisce  le sue colonne basaltiche formatesi a seguito del raffreddamento di una colata di lava.  Dietro alle rocce appare un orso. Il  padrone dell’Artico raggiunge la riva in tutta tranquillità. Non è raro trovare sulla terraferma di  questa regione l’orso bianco che abitualmente vive sulla banchisa, ossia sempre più a nord a causa del surriscaldamento climatico, perché le isole di  Francesco Giuseppe fanno parte della zona di riproduzione e di svernamento dell’orso polare. Dopo un lungo indugiare, le zampe in acqua, l’animale si tuffa, senza dubbio alla ricerca di un nuovo territorio di caccia, più promettente.  Per quanto ci riguarda, riprendiamo la nostra rotta alla ricerca di un nuovo territorio da esplorare, di pari bellezza…

Anna Deniaud Garcia

Bibliografia:
Les animaux des pôles  di Fabrice Genevois
Les pôles en question di Rémy Marion

9.8.13

La Terra di Francesco Giuseppe

Nortbrook Island, a sud dell’arcipelago 
di Francesco Giuseppe. A.Deniaud/Tara Expéditions




Terra all’orizzonte. L’arcipelago ha mantenuto le sue promesse. Il panorama è maestoso. Sotto un sole tenue, imponenti ghiacciai si tuffano senza indugi nel mare ghiacciato. La temperatura è scesa sotto lo zero, aggravata da un vento sferzante. Tara è costretta a zigzagare di nuovo tra le sculture di ghiaccio. L’Artico qui sfoggia i suoi capolavori: imponenti iceberg svettano anche fino a cinque metri di altezza. Senza timore ma con prudenza, la goletta prosegue la sua rotta addentrandosi nell’arcipelago. Miglio dopo miglio, la perla dell’Artico ci svela le sue meraviglie.

Dopo aver costeggiato le falesie di ghiaccio di Nortbruk Island, Tara ha fatto rotta verso Capo Flora, punto di partenza delle spedizioni al Polo Nord. È quasi mezzanotte quando all’orizzonte, tra la nebbia, si intravede una collina verde. Sulla riva rocciosa si distinguono anche alcune figure umane. Equipaggiati di teodoliti*, sembrano intenti a tracciare nuove mappe dell’isola. In lontananza si vede il loro accampamento, ma la casa di Jackson è svanita. Jackson è stato un esploratore inglese che, alla fine del 19° secolo, aveva già trascorso svariati inverni a Capo Flora. Fu lui ad accogliere, in tenuta elegante, Nansen e Johannsen dopo il loro tentativo fallito di arrivare al Polo Nord. Tentiamo invano di comunicare con gli uomini a terra : gesta e chiamate via radio non sortiscono alcun effetto. Ah, se solo Jackson fosse qui ad accoglierci…

Ci fermiamo ad ammirare un gruppo di urie appollaiate su un iceberg, e poi riprendiamo il viaggio verso l’isola di Alexandra. Lì ci attende un gruppo di uomini, militari e guardie del parco. La terra e i ghiacciai intorno a noi sono bagnati da una pioggia fine e avvolti da una fitta nebbia. Sulla costa si intravedono delle cisterne ossidate nell’oscurità e Tara getta l’ancora: rimarremo qui per 48 ore. Via radio informiamo le autorità a terra della nostra presenza. Venti minuti più tardi, un camion militare ci attende sulla riva, con i fari accesi per segnalarci la sua presenza. Sembra di stare dentro a un film di guerra. Strana sensazione. Di lì a poco, fatte le dovute presentazioni, siamo a bordo del camion che si trasforma in un vero e proprio bus turistico con Sergey che ci traduce le spiegazioni della nostra guida, il responsabile del parco.

Prima fermata alla base di Nagurskaya.
Qui, nascosti dentro degli edifici in lamiera azzurra, troviamo un giardino artificiale con erba finta e alberi di plastica, una fontana illuminata e un acquario con pesci esotici. Un tavolo da bigliardo, un calcetto, uno schermo gigante e dei giochi per bambini. Uno spazio per divertirsi e alleggerire la pesantezza dell’inverno, del freddo, della mancanza di sole. Poi di nuovo sul camion, su una pista fangosa, per scoprire tutta l’isola. Si vedono ancora resti di veicoli militari e antenne ossidate in questo paesaggio lunare. Ma la natura è ancora viva: non lontano, ci dicono le guide, vivono famiglie di orsi. 

Arriviamo all’antica base di Sergey. Una casa in mezzo al nulla, con vista sul lago e sul mare. Sergey ritrova i suoi strumenti abbandonati all’aria aperta più di venti anni fa. Si fa prendere dall’entusiasmo e dalla nostalgia e dice: “Un’aggiustatina e potrebbero funzionare come allora”. Ma dobbiamo ripartire, ritornare a bordo. 
Finalmente il sole si è degnato di uscire e illumina i ghiacciai e gli alberi di Tara.
La visita è stata breve, ma l’avventura non è che appena iniziata!


* Teodolito: strumento di topografia per misurare angoli orizzontali e verticali.

5.8.13

Verso l'arcipelago di Francesco Giuseppe

Cielo sopra il mare di Kara, prima di arrivare all'arcipelago di Francesco Giuseppe.
Anna Deniaud/Tara Expéditions



Dopo aver lasciato il fiume russo Enisej, Tara è ora diretta verso l’arcipelago di Francesco Giuseppe, il gruppo di isole artiche situate a soli 900 km dal Polo Nord. A vele spiegate, su un mare liscio come l’olio e privo di ghiaccio, la goletta va incontro al sogno di un intero equipaggio, verso il prezioso Artico. Mercoledì, la terra, o meglio i ghiacciai, dovrebbero apparire all'orizzonte, e dovremmo approdare su questo arcipelago che alcuni chiamano "Mini Antartide".



"L'arcipelago di Francesco Giuseppe è il gioiello della regione artica". Con queste parole l’esploratore polare francese Christian de Marliave ha descritto il luogo a Vincent Le Pennec, capitano in seconda, prima dell'inizio della spedizione Tara Oceans Polar Circle. 91 isole, perlopiù coperte da ghiacciai, un vasto territorio di difficile accesso dove predomina ancora la natura.

Una volta lì, ci auguriamo di incontrare gli orsi polari, le volpi artiche, i trichechi, le foche della Groenlandia, come la foca barbata o la foca dagli anelli, e, naturalmente, una moltitudine di uccelli - più di quaranta specie popolano questi luoghi. Se la fauna e la flora ancora regnano incontrastate, forse lo si deve al fatto che fin dagli anni Trenta l'Unione Sovietica si appropriò del territorio e impedì l’accesso a qualsiasi altra nazione. Nel corso degli anni, sono state costruite tre stazioni meteorologiche e due basi militari. Negli anni Ottanta, più di cinquanta persone hanno svernato sulle isole. D’estate vi accorrevano scienziati ed esploratori russi. Era un buon momento per la ricerca. Per Serguey Pisarev, l’arcipelago di Francesco Giuseppe non era altro che la base di partenza per le sue derive nell’Artico. Per dieci anni, il ricercatore in oceanografia fisica ha perlustrato questi luoghi, attraversando in motoslitta il passaggio Cambridge, tra l'isola Alexandra e di George, che presto percorrerà anche Tara.

Sergei ricorda inoltre di aver sorvolato un campo disseminato di pietre stupefacenti. "Dall’elicottero, ho visto delle pietre a forma di sfera, ma in parte erano coperte di neve. Pochi anni dopo, ho visto una foto di Victor Boyarsky* accanto a una di queste sfere di pietra dalle forme molto regolari. Doveva essere alta almeno tre metri". Ancora oggi l'origine di queste pietre naturali lascia perplessi i geologi. Un mistero che accresce ancora la nostra curiosità e la voglia di scoprire l'arcipelago!

Ma la vera scoperta di questo territorio polare è avvenuta nel 1873 con la spedizione austroungarica Tegetthoff guidata da Julius Payer e Carl Weyprecht. Negli anni che seguirono, l'arcipelago divenne un vasto terreno di caccia estiva. È anche stato un luogo di esplorazione e un rifugio per molti avventurieri. Nansen, il famoso scienziato norvegese che ha condotto una deriva nell'Artico a bordo della Fram, svernò nell’arcipelago di Francesco Giuseppe dopo il fallito tentativo di conquistare il Polo Nord. Oggi, l'isola è ancora un luogo di passaggio per coloro che desiderano avventurarsi al Polo Nord. Due o tre navi rompighiaccio nucleari depositano qui ogni anno più di trecento visitatori. Ma lungi dall'essere avventurosi, sono dei privilegiati i turisti disposti a spendere più di 25.000 dollari per una decina di giorni nella regione artica, facendo scala nell'arcipelago prima di essere portati in elicottero al Polo.

Contemporaneamente allo sviluppo del turismo in tutto l'arcipelago, nel 1994 i russi hanno creato un parco naturale di 42.000 km2 che comprende le isole e le acque dei dintorni. Ora non resta che cancellare tutte le tracce delle attività militari del passato e spiegare ai nuovi avventurieri la fragilità dell'ecosistema polare. Il gioiello dell’Artico non deve smettere di brillare. Dal canto nostro, noi faremo in modo che venga rispettato.



Anna Garcia Deniaud




* Victor Boyarsky: Direttore del Museo dell'Artico a San Pietroburgo, e compagno di viaggio di Jean-Louis Etienne durante la traversata dell'Antartide.



Bibliografia

Franz Josef Land di Susan Barr
Le grand défi des pôles di Bertrand Imbert e Claude Lorius
Practical dictionary of Siberia and the North

1.8.13

Tara ha ripreso il largo!

Effettueremo soste scientifiche quotidiane fino all’arcipelago di Francesco Giuseppe in Russia.

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