31.7.13

Nuova specie di corallo descritta alle isole Gambier, nella Polinesia francese.



Echinophyllia tarae sp. n., nuova specie di corallo descritta 
alle isole Gambier, Polinesia francese. Copyright : F.Benzoni / Tara Oceans



Una nuova specie di corallo, denominata Echinophyllia tarae, è stata descritta in seguito a dei prelievi effettuati nel 2011 alle isole Gambier (Polinesia francese) durante la spedizione scientifica internazionale Tara Oceans, prima spedizione a interessarsi al fragile ecosistema corallino dell’arcipelago dopo quasi 40 anni di silenzio.


L’Echinophyllia tarae, nel cui nome si fa riferimento a Tara, va ad aggiungersi alle otto specie già catalogate del genere Echinophylia. Al pari di tutti i coralli duri, questi minuscoli organismi, che vivono raggruppati in colonie, hanno uno scheletro calcareo. Questa nuova specie, osservata tra 5 e 20 metri di profondità, non era stata trovata in nessun altro luogo prima. Pare sia presente in questo piccolo arcipelago polinesiano in ben 18 dei 24 siti studiati nel 2011, durante la spedizione Tara Oceans. Una tale presenza può risultare strana per una nuova specie, ma la spiegazione in realtà è molto semplice: i coralli delle isole Gambier non venivano più studiati da quasi 40 anni. 


Una specie «dimenticata»?

Nel 1974, il biologo francese Jean-Pierre Chevalier è stato uno dei primi a redigere l’inventario corallino delle isole Gambier, catalogando quasi una sessantina di specie, tra cui alcune specie di Echinophyllia. La biologa milanese Francesca Benzoni, ricercatrice del Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca, autrice e iniziatrice dello studio che oggi viene pubblicato, ha portato la ricerca al Museo nazionale di storia naturale di Parigi, dove sono custoditi i quaderni da campo di Jean-Pierre Chevalier. In uno di essi, una breve descrizione di un campione ha catturato la sua attenzione: «incrostazioni di Echinophyllia, di colore verde scuro, o forse specie diversa». Purtroppo, il famoso campione deve essere andato perso nell’immensa collezione del museo. Impossibile dunque dire se il nuovo corallo, l’Echinophyllia tarae, sia già stato osservato dallo scienziato francese circa 40 anni prima.


Dal campo ai laboratori

Il team di scienziati della spedizione Tara Oceans è stato il primo a tornare sul posto dopo il passaggio di Jean-Pierre Chevalier. Nel corso delle due settimane di studio sul campo, durante l’estate del 2011, sono stati catalogati tutti i coralli incontrati nei 24 siti studiati. In ogni colonia, sono state scattate foto sottomarine, e a ciascuna di esse sono state associate le coordinate indicate dal GPS. Cinque frammenti di corallo, di un centimetro quadrato ciascuno, sono stati prelevati per consentire la descrizione della specie. Dopo un’analisi al microscopio sul posto, uno dei campioni si è unito alla collezione del Museo nazionale di storia naturale di Parigi, gli altri quattro sono stati spediti all’Università di Milano per delle analisi molecolari. Tutti i risultati sono stati confrontati con altre specie simili del genere Echinophyllia. Malgrado la grande eterogeneità di forme e di colori presente in questo tipo di coralli duri, tale da rendere la loro identificazione talvolta molto difficile, lo scheletro calcareo di Echinophyllia tarae aveva dimensioni e un aspetto molto diversi rispetto ad altre specie note.




Bibliografia

Benzoni F. (2013) Echinophyllia tarae sp. n. (Cnidaria, Anthozoa, Scleractinia), a new reef coral species from the Gambier Islands, French Polynesia.
Articolo pubblicato nella rivista ZooKeys

Maggiori informazioni: fare clic qui

29.7.13

Sotto il ciùm dei Dolgani


Vaciliy all'entrata del ciùm, una tenda siberiana. Anna Deniaud / Tara Expéditions



Tra due blocchi di edifici di Dudinka è stato innalzato un ciùm. Il ciùm è una tenda fatta di pelli di renna e stanghe di legno, una specie di tipi (o teepee) del grande Nord siberiano. Nonostante il caldo, Vaciliy indossa il tradizionale abito dei Dolgani. Di fronte a questa scena surreale, allestita in nostro onore, il sorriso affiora sulle nostre labbra. Siamo al contempo commossi e incuriositi. Quale animazione folklorica ci avranno riservato i membri del centro culturale di Dudinka? È bastato varcare la soglia del ciùm per dimenticare il cemento e addentrarsi in un altro mondo… Il mondo dei Dolgani, un antico popolo siberiano.


Uno a uno, scivoliamo dentro al ciùm. Delle panchine, disposte a semicerchio, ci invitano a sederci. Nonostante la ristrettezza del luogo, siamo una ventina di persone sotto la tenda di pelli, socchiusa in alto per far entrare la luce del sole. Sui tavoli sono stati collocati molti piatti con pesce, pane, biscotti... Olga, che indossa un abito a fiori colorato, inizia a servire il tè. E Kseniya, con un grande mestolo, mescola la zuppa di pesce che ci ha preparato. Come benvenuto, Evgeniya intona un canto dolgano, accompagnata dallo scacciapensieri di Vaciliy. Bastano poche note per trasportarci da Dudinka alla tundra, dalla città alle pianure innevate. Basta chiudere gli occhi per vedere apparire gruppi di renne selvatiche, buoi muschiati, e tutte quelle immagini del grande Nord siberiano che ci fanno sognare così tanto.

I Dolgani sono uno dei “popoli indigeni minori della Russia”, categoria che riunisce ventisei gruppi etnici del nord della ex Unione Sovietica. Precedentemente, questi popoli autoctoni del grande Nord siberiano si spostavano costantemente in mezzo alla tundra per seguire le migrazioni dei branchi di renne, per cacciare e pescare. Un nomadismo in condizioni estreme, con temperature in inverno che scendono fino a meno sessanta gradi. Ma ai nostri giorni, e in seguito alla politica degli insediamenti in atto dal 1930, “gli ultimi nomadi dei ghiacci”* sono rari. Meno del dieci per cento della popolazione autoctona della Russia ha resistito al richiamo della città. C’è da dire che, come Vaciliy, i bambini sono spesso costretti ad andare in città, per frequentare la scuola e imparare il russo. “A scuola mi sono reso conto che non riuscivo a comunicare con gli altri, perché non parlavo russo. In un primo momento è stato difficile, poi, a poco a poco, ho imparato la lingua”, confessa Vaciliy. Dal 1982 i dialetti si insegnano anche a scuola. Per quasi nove mesi, tranne che a Natale e Capodanno, i bambini nomadi vengono separati dalle loro famiglie. Ritroveranno i loro parenti e la tundra solo durante la lunga pausa scolastica. D’estate gli studenti dolgani potranno partecipare alla raccolta delle bacche, alla “pesca” tra il legname galleggiante nei fiumi, e alla raccolta di funghi.

Dentro al ciùm continuano i canti. Le parole evocano la cultura dolgana, ma anche storie d'amore, o meglio le pene dell’amore. Poi è toccato a noi cantare e condividere un po’ della nostra cultura. Samuel, il capitano, ha tirato fuori la sua fisarmonica e la melodia «Mon amant de Saint-Jean» (“Il mio amante Saint-Jean”) è risuonata nell’aria. Improvvisamente le nostre vite sembrano molto meno lontane di quanto appaiano! Dopo averci raccontato alcune leggende della penisola di Taimyr, dopo averci mostrato i manuali di apprendimento per dolgani, i nostri padroni di casa ci hanno iniziato ai “giochi di società della tundra”: dei bastoni di legno che si dovrebbero lanciare e poi recuperare, e altri giochi come quello delle cifre da pronunciare ad alta voce senza prender fiato… Nonostante la barriera linguistica, riusciamo a comprenderci con i gesti, le espressioni facciali, i sorrisi… Come l'amore, la risata è universale!


Anna Garcia Deniaud



Bibliografia

«Dolgans - Les derniers nomades de glaces» (“Dolgan - Gli ultimi nomadi di ghiaccio” ) di Francis Latreille
I popoli indigeni - questioni siberiane


26.7.13

La placida Dudinka

Tara nel porto di Dudinka. Anna Deniaud / Tara Expéditions




Dopo aver risalito il fiume Enisej per due giorni, abbiamo attraccato al porto di Dudinka, in Russia. Nonostante l’ora mattiniera del nostro arrivo, le autorità russe erano là ad accoglierci. Le formalità non ci hanno rubato molto tempo e da mercoledì mattina gironzoliamo per le vie tranquille di quella che fino al 2006 era la capitale del Taimyr nella Russia settentrionale. 



Fin dal primo momento il visitatore percepisce il calore e l’ospitalità della gente del nord. Forse la loro migliore difesa contro gli inverni lunghi e rigidi. Il capitano dell’imbarcazione, che ci ha guidato nelle ultime miglia marine, ci invita a bordo per un bicchiere di vodka e un assaggio di pesce crudo. Inutili i nostri “Niet spassiba”*: dovevamo farlo per onorare la tradizione russa. Dopo un bicchiere di alcool locale ho trovato il coraggio di addentare il pesce ancora sanguinante. Lee mi ha seguito senza grande entusiasmo. Dopo l’assaggio, ai nostri gentili sorrisi è seguito uno scoppio di risa tra i nostri ospiti, che ha rivelato un aureo luccichio nella bocca del capitano. Un’esperienza da non perdere. E siamo felici di averla vissuta appieno. Poi è arrivata una ragazza con un regalo per l’equipaggio, una testa di lupo in perle avvolta da pelliccia. Il lupo sale a bordo e gli viene riservato un posto d’onore nella cabina principale.

Dopo alcune ore di riposo, siamo andati alla scoperta di Dudinka. Abbiamo visitato la chiesa di Svyato-Vvedenskaya e salutato l’inevitabile Lenin in pietra, percorso le grandi vie urbane dominate dalle condutture di calore in acciaio, visibili all’aria aperta. Una visione poco piacevole, ma le caratteristiche del suolo, il permafrost o pergisol* che dir si voglia, non lasciano spazio a molte alternative. Urbanisti e imbianchini hanno pensato bene di ovviare a questo obbrobrio dipingendo le facciate degli edifici con colori che un tempo furono sgargianti: rosa fucsia, giallo limone, verde oliva. E per rallegrare il paesaggio urbano, sono stati installati anche degli alberi di plastica luminosi sui marciapiedi. Ammantata di neve, Dudinka deve avere, durante tutto l’inverno, un aspetto decisamente festivo e sembrare una tavolozza di colori che spuntano qua e là dalle magliette e dai vestiti delle giovani donne, ma questa è un'altra storia o forse solo la riprova che la moda non si ferma alle porte della Siberia.

Ci siamo avventurati all’interno dei blocchi di edifici scoprendo a ogni angolo un venditore di legumi, un parco per bambini o una vecchia auto abbandonata per la delizia dei collezionisti. Ma sono solo apparenze. Dudinka è misteriosa. Bisogna osare aprire le porte e scoprire un altro mondo. Chi avrebbe mai pensato di trovare una bania* in una zona così malmessa? O un cyber-café al primo piano di un complesso residenziale? Per aprire altre porte bisognerebbe conoscere la lingua ed è proprio questo il nostro maggiore ostacolo all’immersione siberiana. E chissà se la lingua russa basterebbe… Dudinka è anche un crocevia di culture e comunità diverse.



Anna Deniaud Garcia



* Niet Passiba: No, grazie in russo
* Pergelisol: strato di terra perennemente gelato
* Bania: sauna russa







24.7.13

Tara a Dudinka



Tara è arrivata a Dudinka, porto di scalo in Russia. La goletta sosterà nel porto per una settimana, fino al primo agosto, per effettuare il cambio dell’equipaggio.




Temperatura aria: 12°C, mare: 9°C.


21.7.13

L’avventura scientifica in Russia: un mese dopo…

Lee Karp-Boss durante la lunga sosta di prelievi a Santa Anna. 
A. Deniaud / Tara Expéditions





Giovedì, sotto un cielo radioso, si è conclusa l’ultima lunga sosta scientifica del tratto Mourmansk-Dudinka. Lee Karp-Boss, scienziata a capo di questo tratto, ci parla dell’ultimo mese della spedizione, fatto di avventura e campionature, che per lei e il suo equipaggio volge al termine.




- Lee, come si è svolta l’ultima sosta e quali sono i fatti salienti da ricordare?

È stata una sosta relativamente breve, data la scarsa profondità dei fondali, solo 36 metri. Ci interessava effettuare campionature in questa zona in cui il Mare di Kara è sotto l’influenza delle masse d’acqua provenienti dal fiume Enisej.  La salinità è quindi molto bassa, pari a 12, mentre nel Mare di Barents era 34,8. Nelle reti abbiamo raccolto una grande quantità di larve di pesce. Abbiamo anche osservato una forte concentrazione di materia organica disciolta, o DOM (Dissolved Organic Matter), responsabile del colore verde scuro dell’acqua. Ma nulla di sorprendente per una zona costiera, perché questa materia organica disciolta in genere proviene dalla terra.


- Sinteticamente, qual è il bilancio di questo tratto?

Dal mio punto di vista, è stato molto produttivo. Abbiamo incontrato condizioni climatiche eccezionali che ci hanno facilitato il lavoro e ci hanno consentito di effettuare tutte le soste previste. Per non parlare dell’esperienza di vita con l’equipaggio, sia con gli scienziati che con i marinai, che è stata superlativa e ha contribuito al regolare svolgimento dei campionamenti. In tutto abbiamo effettuato 15 soste, di cui 5 lunghe. Effettuando prelievi in ambienti diversi e condizioni diverse. Durante le soste abbiamo osservato dei cambiamenti in seno alla comunità planctonica. Ad esempio, la grandezza e la quantità di fitoplancton erano maggiori nel ghiaccio rispetto ai valori riscontrati nel Mare di Barents libero dai ghiacci. Ma si tratta di una semplice constatazione, gli studi genetici e tassonomici ci diranno se era davvero presente una grande diversità. Abbiamo anche effettuato rilievi in due punti nell’area di Santa Anna. Tali rilievi sulle proprietà fisiche dell’acqua permetteranno ai ricercatori di proseguire gli studi sulla circolazione delle correnti, molto interessanti in questa zona. E non dimentichiamoci che attraverso lo studio della circolazione delle correnti possiamo comprendere meglio l’impatto del cambiamento climatico.


- Oltre ai campioni di plancton inviati a numerosi laboratori, a cosa servono i dati registrati durante la spedizione Tara Oceans Polar Circle ?

Abbiamo instaurato una collaborazione con la NASA, l’agenzia spaziale americana, e la ESA, l’agenzia spaziale europea. Al termine, dopo opportune verifiche, invieremo i dati fisici sull’assorbimento e la deviazione della luce nell’acqua  e i dati biologici sul genere di particelle presenti nella zona studiata e la loro concentrazione. Tali informazioni consentono di adeguare gli algoritmi, che consentono di realizzare un legame tra le mappe satellitari dei colori degli oceani e la concentrazione di clorofilla nell’Artico.


- Qual è il seguito dell’avventura?

Io sbarco a Dudinka e Pascal Hingamp prenderà il comando. In questo secondo tratto in Russia, Tara dovrà ritornare in una zona già studiata, tra Mourmansk e Doudinka. Il comitato scientifico sta considerando se effettuare nuovi campionamenti nella stessa zona a un mese di distanza per riscontrare eventuali cambiamenti. A ogni modo, dopo il mare di Kara, l’equipaggio effettuerà altri prelievi in un'altra zona, nel mare di Laptev.



Anna Deniaud Garcia

17.7.13

Da un meridiano all'altro



La terra di Novaja Zemlja (Isole russe). 
A.Deniaud / Tara Expéditions




Terra in vista! A inizio settimana, tra il blu del cielo e del mare, si è delineata una striscia di terra chiazzata di bianco, che altro non è che Novaja Zemlja, affacciatasi timidamente all’orizzonte. Rispettando le distanze di rigore, le dodici miglia nautiche, Tara costeggia la punta Nord-Est dell’arcipelago. A bordo, qualcuno sogna di avvicinarsi all’isola, di mettere piede a terra, semplicemente per riposarsi e concedersi un attimo di tregua ai movimenti incessanti dell’imbarcazione. Ma dobbiamo continuare la nostra rotta verso Est, superare nuovi meridiani, che ci allontanano inesorabilmente sempre un po’ di più dal fuso orario della Francia…


Un giorno solo ci separa dall’ultima lunga sosta di campionatura, eppure ci sembra già quasi lontana. Ma non abbiamo dimenticato i dati salienti: l’assenza di DCM (massimo profondo di clorofilla), la distribuzione uniforme di fitoplancton su tutta la colonna d’acqua, la presenza importante di copepodi* e di appendicolarie** , e infine gli ammassi di microorganismi morti che scendono verso il fondo…

Ma la fatica appartiene già al passato. La notte successiva è stata pesante: Tara ha navigato nelle acque turbolente del mare di Kara battute da raffiche di vento sino a 40 nodi. Anche l’equipaggio ne ha risentito. Poi è arrivata la quiete, la quiete dopo la tempesta. È una giornata di sole quella di oggi, è l’una del mattino e il sole inonda la sala comune dove qualche insonne è ancora al lavoro. 


Lo stesso fuso orario dell’India

Ogni giorno che passa ci sembra di perdere sempre più la cognizione del tempo. Oltretutto il tempo sembra voler giocare con noi. Dobbiamo continuamente spostare le lancette degli orologi per conservare un legame immaginario con il continente. Tra due giorni, in un batter d’occhio passeremo dalle 14 alle 16, dal caffè dopo pranzo alla merenda! Per curiosità ci siamo interessati al paese che vive al nostro stesso ritmo, o meglio le cui lancette segnano la stessa ora di Doudinka. Seguendo il meridiano, abbiamo attraversato il Tibet e siamo arrivati in India, vicino alla frontiera tailandese. Ci siamo fatti portare proprio lontano…

Oltre all’esplorazione di paesi lontani, ci siamo anche interessati a quelli più vicini a noi. Le mappe indicano che Novaja Zemlja, quella lingua di terra in apparenza uniforme, in realtà è separata dallo stretto di Matočkin.   A nord si trova l’isola di Severnyj a sud Južnyj La prima è coperta di ghiacciai, la seconda di tundra, una vegetazione non uniforme costituita di muschi, graminacee e licheni. Secondo tradizione orale dei Nenet, uno dei popoli autoctoni della Russia, i Sikhirtya o Sirtiya hanno occupato questo territorio durante la preistoria, e si dedicavano alla caccia con l’arpione di trichechi e balene. Ma gli archeologi russi divergono sulla questione dell’esistenza di un insediamento stanziale o di attività stagionali.

Una cosa è certa. Oggi la Novaja Zemlja si popola solo in alcune stagioni di un numero imprecisato di militari, un pugno di meteorologi e qualche nenet che vi si reca per la caccia e la pesca. Nel 1955, l’arcipelago è stato consacrato a esperimenti nucleari sovietici e nel corso degli anni le sue rive sono diventate dei cimiteri di rifiuti nucleari. Per quanto Sergey ci rassicuri che la zona è controllata ogni due anni e che fino a oggi non è stata rilevata alcuna fuga di radioattività, la notizia ci fa venire i brividi. Inoltre siamo scesi di altri tre gradi in un solo pomeriggio. Fuori ci sono zero gradi.


Ore quattro del mattino: rumori sordi sullo scafo

Con Novaja Zemlja ormai alle nostre spalle, ci dirigiamo a est per evitare i ghiacci giacché non solo il tempo ma anche i ghiacci si prendono gioco di noi. Man mano che arriva una mappa, dalla Germania o dalla Russia, cambiamo traiettoria. Da una parte annunciano una zona libera dai ghiacci, dall’altra ci consigliano di raggirarla. A chi credere?

Sono le quattro di mattina, dei rumori sordi di ghiaccio che si infrange sullo scafo ci scuotono dal sonno. Tara cerca di aprirsi un varco in mezzo al ghiaccio compatto; alle cinque, la banchisa si riduce. Tre ore dopo, i motori rombano di nuovo, un'altra lotta contro la natura. Gli elementi della natura ci riservano ancora sorprese!



Anna Deniaud Garcia



* Copepodi: crostacei dall’aspetto di gamberetti microscopici. Gli adulti delle specie più piccole misurano all’incirca 0,2 mm e quelli delle specie più grandi arrivano a circa 10 mm. 

** Appendicolarie: zooplancton. Questo organismo, che agisce come un filtro di materia in sospensione, consente, tra le altre cose, di accelerare il trasferimento di materia carbonica verso il fondo degli oceani. 

Bibliografia: «Peuples du Grand Nord II» (“Popoli del Grande Nord” volume II). Patrick Plumet. Editions Errance

15.7.13

L’uomo che ascoltava gli scricchiolii del ghiaccio

Sergey Pisarev in una breve sosta. A.Deniaud/Tara Expéditions




L’abbiamo presentato spesso in veste di rappresentante ufficiale della Russia a bordo, ma Sergey Pisarev è soprattutto uno scienziato esperto dell’Artico! Oggi vi racconteremo di Sergey ricercatore emerito in oceanografia fisica, e di Sergey avventuriero dell’Artico, senza dimenticare l'uomo che ama ascoltare gli scricchiolii del ghiaccio...



Più di venti derive nell’Artico e una trentina di spedizioni in tutto il mondo, viaggiatore intrepido e appassionato. Sergey Pisarev nasce a Kharkov, nell’ex URSS, oggi Ucraina, nel 1958, ma di lì a poco parte per l’Oriente dell’URSS, va in Cina e Lettonia. Suo padre era un ufficiale dell’esercito. Costruire, partire, costruire di nuovo e poi ripartire ancora...

Una costruzione continua, proprio come ogni primavera fa la banchisa polare. Per un bambino però non era tutto così semplice. “È difficile cambiare continuamente scuola, però impari a essere forte, indipendente e comunicativo”. Studente bravo, Sergey sogna di diventare anche un bravo navigatore. Pochi anni più tardi, i film di Cousteau stravolgeranno le sue ambizioni. A diciassette anni, il giovane si iscrive a geografia presso la prestigiosa Università Statale di Mosca...

Un anno di geografia, quattro di oceanografia. Dopo la laurea universitaria, Sergey è ammesso all’Istituto di Acustica di Mosca e parte per la sua prima spedizione polare nel Mare di Barents. “Per un mese ho studiato la dinamica del fronte polare, nella stessa posizione in cui si trova oggi Tara”. L’anno seguente, nel 1982, ha partecipato alla sua prima deriva sopra la gola di Santa Anna, dove Tara si trovava qualche giorno fa... Tara Oceans Polar Circle è come un pellegrinaggio per il nostro esploratore polare! Nei dieci anni successivi, il fisico appassionato raggiunge ogni primavera il largo dell’arcipelago russo di Francesco Giuseppe per partecipare a derive di tre mesi sul ghiaccio. “All’epoca ho costruito io stesso il mio sensore di temperatura. Era un cavo di quindici metri che ho messo in acqua sotto il ghiaccio per studiare i grandi movimenti verticali dell’acqua, le onde interne”. A 27 anni, il giovane russo è stato promosso a capo accampamento, responsabile della sicurezza di tutta la squadra e delle attrezzature. In questa regione molto dinamica, i movimenti del ghiaccio sono frequenti, quindi dobbiamo spostarci costantemente con tende e strumenti. Per dieci anni, i dati scientifici scorrono a fiumi, così come i soldi. In tre-quattro mesi, Sergey intasca lo stipendio annuo di un ingegnere. Ma improvvisamente, come un pezzo di ghiaccio, il blocco sovietico si sfalda, provocando il crollo dell’economia. Non ci sono più soldi per la scienza, e Sergey si tiene occupato con una serie di lavoretti. “Di generazione in generazione, ci siamo sempre adattati nel mio paese, così ho dovuto reagire, anziché deprimermi. A ogni modo una crisi è meglio della guerra!”.

Fortunatamente, nel 1994, l’economia si riprende. Sergey partecipa a uno studio transartico sulla propagazione del suono in mare, che viene salutato come la migliore collaborazione scientifica dell’anno tra Stati Uniti e Russia. Per il ricercatore russo, ciò significa partecipazione a nuovi progetti internazionali. Nel 2006, ha navigato per la prima volta su Tara durante il progetto scientifico DAMOCLES. Ha poi continuato a studiare le conseguenze economiche e sociali del surriscaldamento globale nella regione artica, partecipando al programma europeo ACCESS. Nel frattempo, a una società che vuole estrarre gas nel Mare di Barents e che gli chiede quali siano i pericoli di una tale attività, l’esperto scientifico risponde: “Qualsiasi attività industriale è dannosa per la natura, mi auguro sia possibile organizzarla nel migliore dei modi!”. Auguriamoci dunque che Sergey e i suoi colleghi riescano a tutelare questa splendida parte del mondo, in modo che altri dopo di loro possano godere del piacere di calpestare questo territorio vergine e ascoltare il canto acuto del ghiaccio...


Anna Garcia Deniaud           

12.7.13

Vento artico

Trinchettina in controluce. A.Deniaud / Tara Expéditions


Un vento gelido soffia nelle vele, con raffiche fino a 30 nodi. Gli ultimi prelievi della lunga sosta a Santa Anna sono stati accuratamente raccolti, Tara può riprendere il suo viaggio verso il nord di Novaja Zemlja. In quattro giorni, dobbiamo raggiungere la posizione 77° 11 Nord e 73° 37 Est, dove si svolgerà la quarta sosta scientifica del tratto Dudinka-Murmansk (Russia). Nel frattempo, l'avventura scientifica e marittima continua nell'Artico.



Difficile con questo freddo sferzante abbandonare la gola sottomarina di Santa Anna, senza un pensiero alla sfortunata nave russa che porta il suo nome. Dopo aver lasciato San Pietroburgo il 28 luglio 1912, la Santa Anna fece scalo a Alexandrovsk, vicino a Murmansk, prima di intraprendere la rotta marittima del Nord. Ai comandi del comandante in capo della spedizione, Broussilov, accompagnato dall’ufficiale di navigazione Albanov, l’equipaggio partiva alla volta delle coste siberiane, con l’intenzione di scoprire nuove terre per la caccia di balene, orsi bianchi, foche e trichechi… Ma nell’ottobre del 1912, al largo della Penisola di Yamal, la nave e il suo equipaggio caddero prigionieri dei ghiacci.

Per più di due anni andarono alla deriva verso il Polo Nord. Prigionieri della banchisa, oltrepassarono la stessa longitudine dell’Arcipelago di Francesco Giuseppe senza avvistare un lembo di terra. Nell’aprile del 1914, i viveri diminuirono, Albanov e tredici volontari abbandonarono i tre alberi per tentare di sfuggire al destino. Equipaggiati di slitte e kayak, realizzeranno un lungo periplo fino a Capo Flora nel sud dell’arcipelago di Francesco Giuseppe, in condizioni estreme, al freddo e senza cibo… In quel viaggio «Au pays de la mort blanche*» (“Nel paese della morte bianca”) , solo Albanov e il suo compagno Konrad sopravviveranno. Nessuna traccia della Santa Anna e degli uomini d’equipaggio fu mai ritrovata.

In mezzo a un mare libero dai ghiacci, Tara procede a vele spiegate. Solo di tanto in tanto, uno sfortunato pezzo di ghiaccio si profila all’orizzonte. Tuttavia, a qualche centinaio di miglia nautiche, una muraglia bianca di banchisa limita sempre l’accesso a Doudinka. «Lo stato dei ghiacci è cambiato molto in questi ultimi giorni; da qui a una settimana la zona dovrebbe essere accessibile», ci confida fiducioso Samuel Audrain, il capitano. Il nostro arrivo all’imboccatura di Yenisei, il fiume che risale fino a Doudinka, è previsto per il 22 luglio. Una volta là, dobbiamo proseguire la nostra missione, raccogliere dati scientifici sulle masse d’acqua attraversate. E per garantire un monitoraggio continuo dei valori relativi a mare, salinità, temperatura, ecc., gli scienziati a bordo hanno messo a punto una «ronda scientifica». Dopo il giro delle macchine da parte del marinaio di guardia, un collega andrà nel laboratorio secco per verificare che tutte le apparecchiature funzionino correttamente. In totale, è necessario controllare una ventina di elementi, dall’alimentazione delle macchine alla temperatura dei congelatori, passando per il corretto funzionamento dei software. In caso di dubbio o avaria, Marc Picheral, ingegnere oceanografico, avrà il privilegio di essere svegliato. Anche questo fa parte dell’avventura scientifica!



Anna Deniaud Garcia


*”Au Pays de la mort blanche”, libro pubblicato da Editions Guérin Chamonix. Il giornale di bordo di Valerian Albanov.

10.7.13

ESPLORA IL MONDO DEL PLANCTON



photo: C.Sardet/CNRS/Tara Oceans



Scopri questo affascinante progetto 
e guarda i nuovi spettacolari video qui: 

Plankton Chronicles

9.7.13

Una sosta scientifica ai bordi della banchisa

Un angelo di mare. A.Deniaud / Tara Expéditions



Mentre i ghiacci scricchiolano scontrandosi con lo scafo di Tara, gli scienziati dispongono sul ponte la loro abituale collezione di flaconi, provette e tutti gli altri accessori necessari alla campionatura. Per più di 12 ore, l’equipaggio deve effettuare campionamenti in questa zona coperta dai ghiacci. Fortunatamente, in questa giornata estiva, le temperature sono clementi, il termometro si è stabilizzato attorno ai -3°C. La sosta scientifica si preannuncia lunga, ma l’Artico si rivelerà generoso con i coraggiosi.

In tutta franchezza, la partenza è stata caotica o meglio il preriscaldamento ha preso tempo. Colpa forse del freddo o della nuova programmazione che prevede una discesa a 50 metri, i fondali marini sono poco profondi a queste latitudini, comunque sia la rosetta ha effettuato due immersioni invano. Si è spenta a mezza strada. Il terzo tentativo è andato a buon fine e in breve tempo si è rivelata tutta la ricchezza della biomassa della zona, mostrando un’importante quantità di fitoplancton in profondità, tra 35 e 50 metri. È stato necessario modificare il numero delle messe in acqua delle reti. In vista della concentrazione planctonica, le operazioni di filtraggio si prevedono lente, molto lente. Nei campioni si accalcano catene di diatomee, micro-alghe unicellulari che producono un’importante quantità di ossigeno, e anche una grande diversità di copepodi, piccoli crostacei marini, e di briozoi, invertebrati marini che vivono in colonie dentro a logge individuali. Mentre la pazienza di alcuni scienziati è messa a dura prova dalle operazioni di inserimento di questi piccoli mondi all’interno di flaconi contrassegnati da un codice a barre, altri tengono d’occhio gli altri strumenti messi in acqua in mezzo ai ghiacci. 

Solo la rete manta, che consente, tra le altre cose, di effettuare campionamenti in superficie delle particelle di plastica, si salverà dal bagno in acque gelide. Per timore di danneggiare le maglie nel ghiaccio, Marc Picheral, l’ingegnere oceanografico a bordo, ha deciso di non metterla in acqua. Se il ghiaccio rappresenta il fulcro dell’attenzione in questa sosta tra le acque gelide dell’Artico, va anche detto che la sua presenza aggiunge un certo grado di complessità alle operazioni. È necessario trovare degli spazi liberi dal ghiaccio che consentano di mandare tranquillamente alla deriva gli strumenti.


Proprio durante una di queste derive abbiamo incontrato il padrone di casa.
Nel primo pomeriggio, quando la nebbia sì è infittita, un orso polare è apparso in mezzo a una struttura di ghiaccio. È stato Sergey, lo scienziato russo, ad avvistarlo. L’orso bianco aveva senza alcun dubbio sentito la nostra presenza da lontano e deve essere venuto a vedere il visitatore inaspettato. Ci ha lasciato osservarlo mentre effettuava, forse per meravigliarci, un salto acrobatico tra due blocchi di ghiaccio. Poi, da buon nuotatore, si è lanciato in acqua per immergersi nella sua profonda solitudine. 

Ciascuno di noi è poi ritornato al suo lavoro, soddisfatto di questo incontro inaspettato. Dopo qualche ora, un altro incontro con tre angeli di mare ha attirato la curiosità di tutto l’equipaggio. Erano finiti nella rete a 180 micron, e sono stati subito messi nell’acquario a bordo per essere osservati e fotografati. Questi esseri trasparenti, di colore rosso, dotati di piccole ali, si son ben guadagnati il loro nome. Le loro delicate evoluzioni in acqua salata fanno pensare inequivocabilmente a degli angioletti in paradiso. Per chiudere in bellezza, è apparsa pure una foca in lontananza. Ma, contrariamente agli angeli di mare, il mammifero marino non ha fatto il minimo sforzo per intrattenerci. Sdraiata sulla banchisa, apatica, la foca ci ha a malapena degnati di uno sguardo sollevando il capo al nostro passaggio. Ma poco importa, eravamo già molto soddisfatti.


Tara riprende la sua rotta in mezzo al biancore scintillante.


Anna Deniaud Garcia


7.7.13

Nel regno dei ghiacci

Tara di nuovo tra i ghiacci. A.Deniaud/Tara Expéditions



L’orizzonte ha cambiato colore. Un bordo bianco ricopre il grande blu. Sarà ancora una volta l’effetto Novaja Zemlja che ci sta giocando qualche brutto scherzo? «Ghiaccio in vista!», grida a gran voce il marinaio di guardia. L’euforia si propaga in seno all’equipaggio. Dopo la nostra partenza da Murmansk, non vediamo nient'altro che il bianco inebriante della banchisa. Né il freddo pungente né il giorno permanente riescono a convincerci che stiamo navigando nell’Artico. Eppure ci siamo! Senza timore, Tara si dirige sicura verso la muraglia bianca che si erge all’orizzonte. La goletta sembra desiderosa di rivedere quel vecchio amico che l’ha accolta più volte nella deriva artica. 


Da tre giorni le temperature sono davvero crollate, sprofondando sotto lo zero. Qualche fiocco di neve era sceso durante le ultime soste costringendo uomini e strumenti ad attrezzarsi contro il freddo. Per ordine degli scienziati a bordo, ci spingiamo verso est, sopra l’isola di Novaja Zemlja, nella speranza di effettuare campionamenti ai margini della banchisa. Come bambini, siamo impazienti di giocare con il ghiaccio. Ma il primo avvistamento si è concluso con una grande delusione. Due sfortunati pezzi di ghiaccio si sfidano a duello all’orizzonte. Da ridere. Il surriscaldamento climatico non poteva essere più crudele! Malgrado le mappe del ghiaccio che riceviamo ogni giorno ne attestino la presenza a poche miglia nautiche dalla nostra posizione, abbiamo quasi perso la speranza di riuscire a penetrare un giorno nel regno bianco. Ma poi, sabato sera, quando ci eravamo distratti un po’ per festeggiare il compleanno di Claudie, un nuovo mondo si è offerto ai nostri occhi. 


Sono le undici di sera passate ma non abbiamo sonno. Sul ponte della goletta, ammiriamo ancora una volta il panorama che sfila davanti ai nostri occhi. Immersi in un silenzio religioso, i blocchi di ghiaccio incastrati l’uno sull’altro galleggiano su un mare liscio come l’olio. Sembra di stare su uno scenario post-apocalittico. Una scoperta per alcuni, un ritrovamento per altri. A ogni modo rimaniamo tutti soggiogati dalla bellezza del paesaggio. «È un piacere rivedere il ghiaccio!» esclama Samuel, il capitano, con un ampio sorriso sulle labbra. «Che bello…» sussurra Joannie emozionata. C’è da dire che la bellezza fredda sa giocare con i colori e le forme per sedurci. Nel blu intenso del mare di Kara, alcune macchie di un bianco immacolato contrastano con il turchese della parte sommersa dei lastroni di ghiaccio. Le forme geometriche di alcuni blocchi si mescolano alle rotondità dei pezzi di ghiaccio erosi, finemente decorati da file di stalattiti trasparenti. Con dolcezza, Tara si insinua zigzagando tra queste sculture naturali. Al timone, bisogna essere vigili. 


Dopo una notte di scricchiolii dovuti al ghiaccio che viene a rompersi sullo scafo di Tara, ritroviamo il regno bianco. Non era dunque un sogno, né un miraggio! La verità riprende il sopravvento. Bisogna effettuare campionamenti in questa zona, immergere le reti in quest’acqua ghiacciata, sopportare il freddo ora dopo ora. Domani, effettueremo una sosta lunga ai bordi della banchisa. La vita nelle profondità marine sarà forse più animata che in superficie? Quali micro-organismi sono così folli da scegliere come domicilio questa regione polare? Grazie ai prelievi scientifici, il regno dei ghiacci si rivelerà a poco a poco ai nostri occhi.

5.7.13

Tara veleggia sul Mar di Barents

Proseguono le soste scientifiche sul Mar di Barents allo scopo di esplorare le profondità di questo mare situato tra le coste norvegesi e russe, l’arcipelago delle Svalbard, e gli arcipelaghi di Francesco Giuseppe e di Novaja Zemlja. In questa regione oceanica poco profonda, dove il plateau continentale si trova in media a 230 metri sopra la superficie, gli scienziati proseguono i prelievi di campioni finalizzati a comprendere meglio la vita biologica di questa zona, in cui si mescolano le masse d’acqua atlantica e artica. Un’investigazione approfondita in questo mare molto amato da esploratori e ricercatori.




Nel 1594 Willem Barents partì alla ricerca di un passaggio a Nord per raggiungere l'Estremo Oriente: 
perderà la vita durante la terza missione ma lascerà il suo nome a questo mare del Circolo Polare Artico.





«Il Mar di Barents è uno dei mari più studiati al mondo! Tra il 1801 e il 2001 Russia, Norvegia e altri paesi hanno realizzato più di 220 000 soste scientifiche in questa zona», spiega Sergey Pisarev, lo scienziato russo a bordo di Tara. Dagli anni 1870, navi militari russe e pescherecci norvegesi effettuano osservazioni regolari nel Mar di Barents. Poi, nel 1899, il governo russo lanciò un programma di ricerca a bordo della rompighiaccio Yermak. Nel frattempo, nel quadro del primo «Anno Polare Internazionale», vengono installate alcune stazioni metereologiche nei dintorni del Mar di Barents, come quella di Malie Karmakuli, sull’isola di Novaja Zemlja. Oltre un secolo più tardi, quei dati serviranno come base di studio dei cambiamenti climatici nell’Artico. «Non bisogna dimenticare che 130 anni non sono un periodo di tempo così lungo in termini di variazioni naturali del clima», ricorda Sergey nel corso della propria presentazione davanti all’equipaggio di Tara.

Tuttavia per comprendere la storia del Mar di Barents è necessario risalire a tre secoli prima. Nel 1594, il navigatore ed esploratore olandese Willem Barents salpa da Amsterdam con due navi alla ricerca del passaggio a nord per raggiungere l’Estremo Oriente. Alla fine dovrà fare marcia indietro al largo della punta Nord di Novaja Zemlja, quell’isola longitudinale che oggi appartiene alla Russia. Willem Barents tenterà di percorrere il passaggio a Nord-Est per ben due volte negli anni seguenti, ma invano. Morirà nel corso della terza missione lasciando il suo nome a questo mare del Circolo polare artico.

Il Mar di Barents è invidiato non solo per via della sua posizione sulla rotta marittima verso nord e il suo libero accesso ai ghiacci a sud durante tutto l’anno, ma anche per via delle risorse naturali di cui dispone. Da tempo la zona è nota per essere una grande riserva ittica e, dagli anni 1970, una regione ricca di gas e idrocarburi. Se i ricercatori a bordo di Tara vengono qui per attingere da queste acque solo dati fisici, chimici e planctonici che andranno a completare la base di dati scientifica sugli oceani, altre missioni di esplorazione condotte qui hanno ben altre finalità: definire le zone di pesca o individuare potenziali siti per l’estrazione del gas e del petrolio. Ed è per via di tali interessi economici che il Mar di Barents è stato ultimamente oggetto di contese politiche tra Norvegia e Russia. Ciascuno di questi due paesi vuole appropriarsi della «fetta» più grande, ossia ottenere l’esclusiva economica di questa zona grigia, e di questi spazi marittimi la cui proprietà non è chiaramente definita. Alla fine, l’accordo firmato dai due contendenti è una condivisione equa del territorio: 50% alla Norvegia e 50% alla Russia. 

Comunque sia, il futuro del Mar di Barents si annuncia un po’ agitato, tra la sete di conoscenze di alcuni, desiderosi di comprendere meglio il surriscaldamento climatico nell’Artico, il lavoro di pulizia dei rifiuti nucleari di altri, e tutti i sogni di sfruttamento delle sue risorse naturali. 


Anna Deniaud Garcia

«Adesso si inizia a fare sul serio, nel Grande Nord»

Prima intervista con Etienne Bourgois, presidente di Tara Expéditions, dopo l’inizio della spedizione Tara Oceans Polar Circle.





Etienne Bourgois ©F.Latreille/Tara Expeditions





- Certamente non è ancora il momento di fare bilanci, ma come è andato il primo mese e mezzo di spedizione?

L’intero equipaggio è entusiasta di questa prima parte della spedizione. L’esperienza di Tara Oceans 2009-2012 è sicuramente servita e tutto si è rimesso in moto come previsto. Il materiale scientifico funziona bene così come gli strumenti di prelievo di campioni a funzionamento automatico e continuo, grazie al lavoro dell’ingegnere del CNRS Marc Picheral.

La scelta delle soste dove effettuare i campionamenti tra Tara e i laboratori a terra (finora in totale le soste sono state nove) è stata realizzata in maniera ottimale in quanto le condizioni metereologiche erano favorevoli. Il tempo era tranquillo nelle ultime settimane. Siamo anche riusciti a realizzare una sosta importante, nel cuore del bloom* planctonico.

Ma è adesso che si inizia a fare sul serio, nel Grande Nord.



- Quali sono i vostri timori per i prossimi mesi ?


Il planning è serrato. Dopo esserci stato varie volte, so che nell’Artico bisogna essere pronti a tutto. E tutto dipende dalle condizioni meteorologiche, dalla situazione dei ghiacci. Ciò che conta per me sopra ogni cosa è la sicurezza degli uomini e delle donne a bordo di Tara, e la sicurezza della barca. C’è gente esperta a bordo. Lo scienziato russo Sergey Pisarev che ha partecipato alla spedizione precedente di Tara nell’Artico e che ha apportato tutto il suo know-how. L’attuale capitano Samuel Audrain che ha passato 9 mesi a bordo di Tara quando l’imbarcazione è rimasta stretta tra i ghiacci nel 2007 e 2008. Samuel è un buon marinaio che ha partecipato ad altre spedizioni polari. È molto motivante per l’equipaggio averlo come capitano sapendo che ha occupato tutti i ruoli a bordo di Tara prima di prenderne il comando.



- Com’è la situazione dei ghiacci nell’Artico in questo momento ?


È appassionante seguire in diretta sul sito l’evoluzione del ghiaccio in ogni momento, giorno dopo giorno. Anche se quello che indicano le mappe non corrisponde sempre a quello che c’è nella realtà, sul campo, e non è sempre evidente come calibrare la situazione tra ciò che c’è in situ e le mappe che si ricevono a bordo…

Durante lo scalo a Murmansk (Russia) la settimana scorsa, si sono registrate temperature record di 30°C; ma in quel momento, la fusione della banchisa artica registrava un ritardo di una settimana in rapporto all’anno precedente. Eppure, tutto ciò può cambiare da un momento all’altro. Possiamo fare qualche scommessa, ma è ancora troppo presto.

Quello che è interessante è la pubblicazione quest’anno da parte del GIEC della prima parte del nuovo rapporto quando noi staremo attraversando il Passaggio di Nord-Ovest. Il rapporto aggiornerà le previsioni sullo scioglimento della banchisa proprio quando noi saremo lì a osservare il fenomeno in diretta sul posto.



- Quali le aspettative per questa spedizione?


Ciò che facciamo e faremo per la scienza in questa parte del mondo è davvero innovatore e contribuirà alla conoscenza di questo oceano, in un momento cruciale! L’Artico è testimone diretto dei cambiamenti climatici del nostro pianeta. Vi si sono rilevati cambiamenti molto più rapidi rispetto al passato, siamo tutti preoccupati, tanto i popoli che abitano le coste artiche quanto l’intera popolazione mondiale.



- Qual è il senso del partenariato che avete siglato la settimana scorsa con l’UNESCO?


È il risultato del nostro lavoro con l'ONU dopo la conferenza Rio+20 e le collaborazioni informali che portiamo avanti da qualche tempo con la Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO. Siamo fieri che Tara sventoli i colori dell’UNESCO.

Educazione, Scienza e Cultura sono al centro delle nostre due istituzioni; per me è un partenariato che ha un senso molto profondo.



- Tara Expéditions ha avviato lo scorso 11 aprile l’Appello di Parigi per l’Alto Mare. Ce ne può parlare?


Essendo un appassionato di vela, ho scelto la libertà, ovviamente. Ma ciò non deve condurre a qualunque eccesso nell’Alto Mare. Dobbiamo difendere uno statuto per l’Alto Mare, ed è per questo che è nato l’Appello di Parigi. Il grande pubblico, i cittadini possono far arrivare dei messaggi ai nostri dirigenti e incidere sulle scelte politiche. Firmate l’appello, è un gesto semplice e facile per cercare di salvare l’Oceano. Tutti sono preoccupati per il mare, perché la terra è un solo e unico ecosistema.

Tali questioni, che dovranno essere discusse all’ONU da qui al 2014, non devono essere rimandate alle calende greche. Ci stiamo già muovendo per riunire gli stati portatori dello stesso messaggio all’ONU.





* zona di fioritura massiva di micro-organismi planctonici.

2.7.13

La ricerca scientifica tra Murmansk e Dudinka



Stephane Pesant e Lee Karp Boss al lavoro durante una sosta di campionamento. 
A.Deniaud / Tara Expéditions

72° 32 Nord e 44° 06 Est, questo è il luogo in cui gli scienziati di Tara Oceans Polar Circle hanno deciso di spegnere i motori per iniziare la prima lunga sosta di campionamento del tratto Murmansk-Dudinka (Russia). In questo punto, le masse d'acqua provenienti dall'Atlantico entrano nel Mare di Barents da sud e vanno incontro alle masse d'acqua polari. In questa zona detta fronte polare, marinai e scienziati hanno programmato di eseguire ventidue messe in acqua in due giorni consecutivi. Una vera maratona per la scienza, che si ripeterà altre tre volte durante il mese di navigazione tra i due porti russi.

Lunedi mattina, ore 07:30. Sul ponte di Tara, l'equipaggio è pronto per dare avvio alle operazioni della prima lunga sosta dopo Murmansk. Il sole splende in alto, quasi a voler incoraggiare con la sua presenza l’equipaggio e un clandestino a bordo, un esemplare di Uria, un cugino del piccolo pinguino artico venuto ad assistere alle operazioni. Come al solito, la rosetta munita di CTD, è il primo strumento a “tuffarsi” in acqua. Le dieci bottiglie Niskin vengono immerse nell’acqua a 7.5° C al fine di ottenere i primi campioni che definiranno il profilo della colonna d'acqua.

"Abbiamo trovato il Massimo profondo di clorofilla, o DCM (Deep Chlorophyll Max), ovvero la profondità dove c'è più clorofilla, e quindi fitoplancton, a una quarantina di metri sotto la superficie. Ci si aspettava di avere un DCM più profondo e meno pronunciato a causa delle masse d'acqua atlantica e della stagione estiva già inoltrata, ma credo che percepiamo ancora l'influenza delle acque costiere", rivela Stéphane Pesant, uno dei due capi scienziati di questa tappa.

I campioni mostrano che l'ambiente non è molto produttivo nella zona, almeno in questo momento. "Non ci sono molte diatomee *, per contro ho osservato molti dinoflagellati ** e sono bellissimi!”, dice Joannie, entusiasta, mentre esce dal laboratorio secco. I dinoflagellati sono microrganismi mixotrofici, che possono sopravvivere con o senza luce. Le diatomee, invece, non possono vivere né senza luce né senza nitrati.

Sul ponte continuano le operazioni. La rosetta, le reti, la rete manta per la raccolta dei rifiuti di plastica, ma anche la pompa ad alta portata, tutto è pronto per esplorare le profondità dell'oceano, dando continuamente lavoro al team di scienziati: tutto deve essere filtrato e messo in ogni flacone campione, rigorosamente dotato di un codice a barre, e poi conservato in frigorifero o nel congelatore.

La maratona per la scienza continua. Il vantaggio di effettuare campionamenti nell'Artico in questo periodo dell'anno è che non è necessario vegliare la notte! Il sole inonda continuamente il grande blu e il plancton non fa migrazioni verticali giornaliere. Sono le 19:30 di lunedì sera e il ponte di Tara è ancora in fibrillazione. A questa lunga sosta di campionamento seguiranno delle soste brevi giornaliere. È grazie al confronto tra le diverse soste di campionamento che gli scienziati potranno determinare in che misura la prima sosta sia stata rappresentativa delle acque atlantiche.

L'obiettivo di questa tappa tra Murmansk e Dudinka è infatti di prelevare campioni in diverse masse d’acqua caratteristiche del Mare di Barents e del Mare di Kara. Dopo le masse d'acqua dell'Atlantico a sud del fronte polare, gli scienziati effettueranno una seconda sosta lunga a nord del fronte polare, dove immergeranno i loro strumenti nelle acque polari artiche libere dal ghiaccio. "Questa seconda sosta consentirà di mettere a confronto ecosistemi planctonici tra il sud e il nord del fronte polare", spiega Stéphane Pesant. Poi Tara si dirigerà verso il limitare della banchisa, sperando di arrivare in tempo prima che il ghiaccio si ritiri. In queste alte latitudini, gli scienziati si augurano di poter studiare gli ecosistemi del ghiaccio marino. La quarta e ultima sosta, prima di arrivare a Dudinka, verrà condotta nelle belle fresche acque di Enisej, a quasi dodici miglia nautiche dalla costa.

Un vasto programma, dunque, quello che attende il team di scienziati di Tara, che verrà svolto in condizioni che dovrebbero essere sempre più dure. Per ora, la presenza dell’Uria è l’unico indizio che indica all’equipaggio di Tara di essere veramente nell'Artico.


Anna Deniaud Garcia e Stéphane Pesant 


* micro-alga unicellulare, avvolta da un unico guscio a base di silicio
** micro-alghe unicellulari con due flagelli, un involucro di cellulosa, e cloroplasti che consentono loro di svolgere la fotosintesi