19.7.14

Oceani di plastica


Da più di cinquant’anni la plastica ha invaso la nostra quotidianità, e anche i nostri oceani, convertendosi nel maggior fattore inquinante marino. Così il mondo del silenzio, tanto caro a Cousteau, diventa a poco a poco il mondo della plastica... 


© La piastra di Petri viene collocata sopra una placca luminiscente
per fare l'inventario delle microplastiche


Per gli industriali, la plastica è una benedizione. Un piccolo costo di produzione, ma soprattutto un insieme di proprietà ideali: solida, leggera, resistente alla corrosione e a molti prodotti chimici. Con l'aggiunta di vari additivi, ad esempio un ignifugo, le sue possibilità sono pressoché infinite. Non c'è da stupirsi se la produzione di materie plastiche non ha smesso di aumentare negli ultimi decenni, fatta eccezione per un breve calo verso la fine del 2000. Dopo una produzione limitata a metà del XX secolo, attualmente l’industria produce circa 300 milioni di tonnellate di plastica ogni anno, utilizzata in quasi tutti i settori, compresa l’edilizia, il settore automobilistico e l’elettronica, e soprattutto, che rappresenta quasi la metà delle materie plastiche, gli imballaggi, destinata dunque a un utilizzo effimero.

Negli imballaggi, solo l'utilizzo è effimero. 
La plastica, grazie alle sue formidabili proprietà di resistenza, è fatta per durare decine, a volte centinaia di anni. Quando questa plastica non è soggetta a una raccolta differenziata e a un riciclo consapevole (riciclo che oggi riguarda il 20% della plastica in Francia), finisce inevitabilmente in natura, per l’esattezza in mare. Ogni anno, tra i 10 e i 20 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni genere vengono scaricati negli oceani, in larga maggioranza materie plastiche. In superficie, queste ultime rappresentano anche la quasi totalità degli oggetti galleggianti. Se alcuni rifiuti provengono dalle attività marittime, in media, il 70-80% dei rifiuti marini è arrivato via terra, trasportato soprattutto da fiumi e torrenti.

Una volta in mare, la maggior parte dei rifiuti di plastica galleggia sulla superficie. 
Trascinati per grandi distanze dalle correnti oceaniche, galleggiano nelle aree più remote del pianeta. Se alcuni rifiuti finiscono sulla costa, altri vengono catturati in spirali oceaniche, enormi vortici di diverse migliaia di chilometri. È in una di queste spirali, quella nel Pacifico settentrionale, che l'oceanografo Charles Moore mise in evidenza negli anni ‘90 quello che chiamò "il continente di plastica". L’espressione, pur essendo forte, rappresenta ben poco la realtà. Lungi dall'essere un'isola di spazzatura che emerge dall'oceano, si tratta piuttosto di una forte concentrazione di detriti galleggianti: alcuni grossi rifiuti, le cosiddette "macroplastiche", bottiglie d'acqua, sacchetti di plastica e altri imballaggi, ma soprattutto piccole particelle di meno di cinque millimetri dette “microplastiche”. Queste spirali formano una vera e propria zuppa di piccoli detriti di plastica, provenienti dal lento degrado delle macroplastiche.

Le microplastiche non si trovano solo nelle spirali oceaniche, ma ovunque sul pianeta. Il Mediterraneo, mare quasi chiuso, soffre della più alta densità di microplastica nel mondo: 115.000 particelle per chilometro quadrato. Argomento a lungo ignorato dalla comunità scientifica, è solo negli ultimi anni che gli studi si sono interessati a questa forma di plastica molto meno visibile rispetto ai grandi oggetti galleggianti. L’ampiezza del fenomeno, la sua distribuzione e soprattutto i suoi potenziali impatti sull'ambiente, sono quindi ancora ignoti. Mentre resta ancora molto da fare, Tara spera di dare il proprio contributo nei sei mesi di spedizione nel Mediterraneo e di raccogliere il massimo di informazioni possibili su queste microplastiche e le loro interazioni con l'ecosistema planctonico.


Traduzione di Paola Buoso dell'articolo di Yann Chavance